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Channel: Il tempo ritrovato
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Peter Pan : colpevole!

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Sarà anche vero che Robin Hood rubava ai ricchi per dare ai poveri. Ma comunque rubava.
Inoltre aveva " usato violenza nei confronti dello sceriffo di Nottingham, consistita
nel levargli il tappeto da sotto i piedi facendolo così ruzzolare " Quindi merita una bella condanna
" ad anni 2, mesi 1 di reclusione ", però " interamente condonati per aver agito per motivi di particolare
valore morale e sociale ". I suoi complici Little John Otto e Fra Tuck si beccano
" anni 1, mesi 5 reclusione", anch'essi " interamente condonati "







La surreale sentanza è stata davvero emessa da un importante magistrato: il procuratore de L'Aquila
Fausto Cardella, che in passato aveva indagato sulle stragi di  Capaci e di via D'Amelio e
sulla banda della Magliana. Emessa sì, ma per gioco, ovviamente.
Insieme con lui altri giudici e famosi penalisti si sono esercitati ad immaginare processi alle
creature della fantasia, il tutto è stato raccolto in un curioso libro " Favole alla sbarra " citato in 
un bel articolo di Alessandro Gnocchi su Il Giornale.








Peter Pan per esempio riesce a far condannare Capitan Uncino a 6 anni ( e ci mancherebbe altro ),
ma pure lui, a sorpresa, viene colto in fallo, per lesione multiple e " per aver sottratto ai genitori
esercenti la patria potestà " i bambini portati sull'Isola che non c'è.
Risultato; 1 anno con la condizionale!







Il cacciatore di Cappuccetto Rosso viene assolto
" Per aver agito in stato di necessità "








I sette nani , con la loro meravigliosa casetta nel bosco , perdono
la causa per abuso edilizio.








E i Tre Porcellini se la cavano per un pelo dall'accusa di omicidio e occultamento di cadavere.
E via così, a guardare con i tristi burocratici occhi della giustizia le fiabe che hanno
 fatto sognare migliaia di bambini.








A questo punto, inevitabili, nella mia mente si affollano una serie di domande drammatiche.
La formica è colpevole di omissione di soccorso quando nega alla cicala un po' di cibo
per affrontare il rigido inverno?








La volpe che giudica l'uva " troppo acerba " è imputabile di falsa testimonianza?







Nella vicenda del brutto anatroccolo qualcuno può essere accusato di 
abbandono di minore?








Pollicino, con le sue molliche di pane, di imbrattamento del suolo pubblico
ai sensi dell'art.639 del Codice Penale?








E santo cielo, quanti commi del Codice stradale avrà violato Cenerentola,
con quella zucca, che di sicuro non ha superato la revisione veicoli?








Se poi consideriamo gli eroi dei fumetti...bè, qui ci sono da riempire le galere.
Braccio di ferro per violenza privata, Willy Coyote pe rdetenzione abusiva  di materiali
esplosivi ( e Bip - Bip, ovvio, per eccesso di velocità ), Eta Beta per immigrazione clandestina, 
Lando per oscenità








Paperinik e un sacco di altra gente per travisamento ( art.625 C.P. ).
Per non parlare della Banda Bassotti....








...o dell'eroe per eccellenza di mio marito, Tex Willer, che quando va bene se la cava
a " sganassoni ", e quando va male, bè sono stragi di cattivi a forza di " piombo caldo "









I perfidi Qui, Quo, Qua sarebbero da tempo in un carcere minorile,
mentre Batman e Robin  non potrebbero mettere piede in quegli 80 Paesi in cui
l'omosessualità è fuori legge.








Foese, davvero,dai rigori della giustizia ( giusta o meno ) si salverebbe solo 
quell'anima candida  di Peppa Pig.

E' un giochino divertente, non c'è che dire ma non tanto innocuo. Giustamente scrive,
nella prefazione al libro, Piercamillo Davigo " Con garbo e un sorriso, si aiutano i lettori a passare
dal faceto al serio,a riflettere sui grandi temi da millenni dibattuti: la legge, la giustizia, la morale,
l'autorità, il perdono, ma anche sulla possibile diversa valutazione di fatti e comportamenti
non controversi ". Già, il punto sta proprio in quest'ultima considerazione, e cioè nell'alea di incertezza
e arbitrarietà che circonda  tutte le attività umane, compresa quella dei magistrati.

Se pensiamo ai grandi fatti di cronaca di questi anni, quanti sono  i casi di verdetti  ribaltati,
e poi di nuovo ripristinati, e magari infine di nuovo capovolti, in un senso o nell'altro?
Da Enzo Tortora ad Adriano Sofri, fino ad Amanda Knox e Raffaele Sollecito, tanto per fare qualche esempio. Il fatto è che quando si finisce nel tritacarne della giustizia, e nonostante l'im pegno e la competenza di tantissimi magistrati, la verità spesso non viene fuori, e ci si deve accontentare 
della così detta " verità giudiziaria ".
Se colpevoli sono pure Peter Pan e i Sette Nani, non c'è scampo!

















Oriana Fallaci disse: " Trattare non si può "

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" Sveglia gente, sveglia! Intimiditi come siete dalla paura d'andar contro corrente
o d'apparire razzisti ( parole oltretutto impropria perchè il discorso non è su una razza
ma su una religione), non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata all'Inverso







(...) accecati come siete dalla miopia e dalla cretineria del Politically Correct, non capite o 
non volete capire che qui è in atto una guerra di religione (...) Una guerra che forse non mira alla 
conquista del nostro territorio ( forse? ), ma certamente mira alla conquista delle nostre anime:
alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà, all'annientamento (... ) del nostro modo
di pregare e non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci...







Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte
la Jihad vincerà. E distruggerà il mondo che siamo riusciti a costruire, a cambiare, a migliorare,
a rendere un po' più intelligente cioè meno bigotto o addirittura non bigotto







Distruggerà la nostra cultura, la nostra arte, la nostra scienza, la nostra morale,
i nostri valori, i nostri piaceri...(...). Cannoneggiate dalla nostra misericordia, dalla nostra 
debolezza, dalla nostra cecità, dal nostro masochismo, le mura delle nostre città
sono già cadute.







(...) E se non stiamo attenti, se restiamo inerti, troveranno sempre più complici.
Diventeranno sempre di più, pretenderanno sempre di più, otterranno sempre di più,
spadroneggeranno sempre di più. Fino a soggiogarci completamente.
Fino a spegnere la nostra civiltà.






Ergo parlare con loro è impossibile,. Ragionarci è impensabile. Cullarci nell'indulgenza
o nella tolleranza o nella speranza, un suicidio.
E chi crede il contrario è un illuso.
( Oriana Fallaci,La Rabbia e l'Orgoglio, 2001 )




( immagini dal web )

Un senso dei miei viaggi per Monica

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Sicuramente buona parte di voi segue l'iniziativa mensile

" Il senso dei miei viaggi "

ideata e portata avanti da Monica. Iniziativa molto bella a cui questo blog ha sempre
partecipato con grande entusiasmo.
Purtroppo Monica non potrà più seguire in prima persona questa iniziativa,
 si sa la vita spesso ci pone di fronte a scelte...e quando siamo davanti a un bivio bisogna scegliere
e a volte succede che bisogna anche rinunciare a qualche cosa che amiamo molto.
Monica ama molto la sua " creatura " ma altre strade hanno assorbito tutto il suo tempo,
ma Monica non ha voluto che il lavoro di questi due anni finisse così...
e quindi ha passato il testimone a noi che abbiamo sempre partecipato ai suoi " temi " mensili.
Questo post è dedicato a lei, per ringraziarla per come per due anni ha portato avanti 
con amore infinito questa iniziativa, forse noi solo ora, che siamo chiamate a seguire l'organizzazione
in prima persona, ci rendiamo conto di quanto lei ha fatto



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Le Finestre e le Porte dei miei Viaggi



( ...) Da qualche anno a questa parte ho iniziato a vedere le finestre
come gli occhi delle case,
e, dato che gli occhi sono lo specchio dell'anima,
ho iniziato a pensare alle finestre non come un affaccio sull'esterno
ma come un affaccio all'interno della casa.
Lo specchio dell'intimità e dell'aria che si respira in quelle stanze.
E tra le mie finestre Minica ha scelto questa per il suo...


Doors e Windows Collection 2013





Val Formazza, tra la cascata del Toce e il lago Moresco




Non basta aprire la finestra 
per vedere la campagna e il fiume. 
Non basta non essere ciechi 
per vedere gli alberi e i fiori. 
Bisogna non aver nessuna filosofia. 
Con la filosofia non vi sono alberi: vi sono solo idee. 
Vi e' soltanto ognuno di noi, simile ad una spelonca. 
C'e' solo una finestra chiusa e tutto il mondo fuori; 
e un sogno di cio' che potrebbe esser visto se la finestra si aprisse, 
che mai e' quello che si vede quando la finestra si apre.

( Pessoa  )


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I suoni dei miei Viaggi


( ... ) Ci sono viaggi che hanno una loro colonna sonora particolare
e ogni volta che ripensiamo a quel viaggio 
la prima cosa che irrompe nella mente non è l'immagine 
di un'isola lontana o la maestosità di qualche antico monumento
ma la mente si riempie dei suoni di quel viaggio, 
per esempio se penso al mio viaggio di nozze in Grecia la prima 
cosa che sento è l'incessante canto delle cicale... e così 
tante altre mete si identificano con un suono...e questo è il suono
dei miei viaggi che Monica ha scelto per...


Il Gran Concerto dei Viaggiatori






La voce delle campane suonate da un ragazzo in una
Yaroslav avvolta dalla nebbia che saliva dal Volga




Don … Don … e mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi!, sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra …
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch’io torni com’era …
sentivo mia madre … poi nulla …
sul far della sera.




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La Creatività dei miei Viaggi


(... ) Ogni viaggio, ma anche ogni gita domenicale o fine settimana che sia viene accuratamente
preparato perchè non voglio perdere niente di quello che c'è di interessante
da sapere e da vedere e poi armata del mio quaderno raccolgo sensazioni, pensieri, considerazioni,
con la macchina fotografica raccolgo immagini, cerco di fotografare
quello che la mente, e non solo l'occhio, vede.
Fino a qualche anno fa non usavo la digitale poi ( visto il numero infinito di fotografie
che scatto) mi sono arresa, ma continuo ad amare molto le fotografie "vere ".
Con quegli appunti di viaggio e quelle fotografie di carta creavo i miei diari di viaggio
( oggi creo dvd e quaderni ).
Ogni viaggio ci sono uno o più album, di quelli con le pagine di cartoncino 
color avorio e la carta velina tra un foglio e l'altro, pieni di appunti, storie,
pensieri, sensazioni,biglietti di navi, aerei, treni, musei, giornali di bordo, cartine geografiche
conti di hotel e ristoranti e tante, tante fotografie:
i miei piccoli " Grand Tour " e tra tutte queste pagine Monica ha scelto questa per...


La Moleskine del Viaggiatore





Questo è il mio diario della
Crociera sul Nilo:
un viaggio meraviglioso che profuma un po' dei libri di Agatha Christie
e un po', almeno per me, del profumo dolce e un po' fermentato dei fichi di Assuan.


" Fissare i propri ricordi,
dare spazio all'immaginazione,
saper ascoltare e osservare...
In una parola scrivere."



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Gli alberi e i fiori dei miei viaggi



( ... )e mi rendo conto che anche il mio blog è infarcito di immagini di
boschi, alberi e fiori.
E allora come fare per partecipare all'iniziativa evitando di postare immagini
che spesso appaiono su questo blog?
Ho pensato e ripensato e alla fine ho sviluppato tre idee che sono anche tre storie

perchè, alla fine che cos'è una fotgrafia se non una storia?
E tra queste storie Monica ha scelto questa per...



L'Orto Botanico del Viaggiatore







 (... ) Quell'anno, era il 1987, è stato l'anno in cui abbiamo percorso circa 7.000 km in macchina
attraverso l'Italia...per stordirmi, per distrarmi, per cercare di dimenticarmi...
A Luglio la mia mamma se ne era improvvisamente andata in cielo e ci aveva lasciati
nella disperazione e nell'angoscia più assoluti.
Non riuscivo a farmene una ragione e non riuscivo a ricominciare la vita che era rimasta 
come pietrificata quella domenica sera in cui era suonato il campanello e un amico
era entrato in casa dicendo " E' successa una cosa orribile..."
E così siamo partiti...chilometri e chilometri di autostrada, chilometri e chilometri
di strade e stradine...un mese  di parole, di lacrime, di abbracci sulle tracce
dei viaggi fatti con lei tanti anni prima...mare, montagne, colline,
città d'arte, borghi medioevali...
Gubbio...Gubbio con i suoi vicoletti, sembrava di sentire ancora la sua voce
che ci raccontava la storia di San Francesco e del lupo...
Gubbio con le sue botteghe artigiane, le sue ceramiche....e i piccoli capolavori tornati 
a casa con noi...i nostri fiori di Gubbio.




" Il ricordo! Perenne rampicante dal fiore divino,
che profuma mestamente quello che abbraccia."
(J.R.Jimenez)



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Il Sacro dei miei Viaggi


( ... ) per me sacro significa un luogo del cuore, un luogo dove, da sempre,
amo recarmi in perfetta solitudine
per parlare con me stessa e , sì, anche con Dio...
e questo, per Monica, è...



Il Tempio del Viaggiatore




Il Santuario del Cavallero a Coggiola


" Sedendo senza far nulla, con la bocca chiusa, 
la lingua contro il palato, in silenzio, non vibrante di pensieri,
con la mente osservatrice passiva, senza aspettare nulla,
sentiti un bambù cavo.
Improvvisamente,  un'energia infinita comincerà a versarsi in te;
e sarai riempito dall'ignoto, dal misterioso,
dal divino. "
( Osho )



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Le Disavventure dei miei Viaggi



( ... )Proprio ieri la nostra umana stava parlando al telefono con Audrey
e le diceva che probabilmente non avrebbe partecipato alla nuova iniziativa del
Senso dei miei viaggi, perchè non le veniva in mente niente a quel punto 
abbiamo deciso che, ancora una volta ( siamo già note star di questo blog )
avremmo preso in mano noi le redini del blog e le avremmo dato una mano
raccontandovi le nostre avventure / disavventure di viaggio.
Detto, fatto, ne abbiamo parlato anche con Audrey e poi abbiamo abbaiato questo post da cui Monica, correndo il serio rischi di morire dal ridere, ha scelto questa storia per ...



La Candid Camera del Viaggiatore





Genova, il porto all'imbrunire e le disavventure di Cassandra



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Le Strade dei miei Viaggi


( ... ) Ci sono altre vie che si percorrono nella vita, non le vie delle nostre città ma vie interiori
cammini tortuosi, a volte tormentati, strade che ci cambiano profondamente,
e ci sono strade
sulle quali vorremmo sempre tornare...e imprevedibilmente anche una viaggiatrice come Monica
sceglie la strada di casa per...



Filastrocche sulle strade del mondo





La strada di casa, perchè  è la strada del cuore,
quella che ovunque siamo nel mondo e qualsiasi cosa diveniamo non scorderemo mai.
Perchè è quella in cui ogni uomo sogna prima o poi di poter tornare...
Perchè è la strada della famiglia, dell'intimità, della protezione...
è la strada del riposo e dell'amore.



"Dove siete diretti?"
"Sempre verso casa".
(Novalis, Enrico di Ofterdingen)



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Gli Spettacoli e le Manifestazioni dei miei Viaggi


( ...) E, dopo avervi accompagnate attraverso
i miei viaggi metafisici e allegorici, questa volta ho deciso di viaggiare nella Memoria,
vi dico anche subito che le antiche fotografie appartengono ai nonni ( o bis nonni ) di una
mia cara amica e che le informazioni me le ha fornite il Sig. Vercella Baglione Enzo, esperto
in storia del biellese.
E questa è la fotografia scelta per...


La Locandina degli spettacoli nel Mondo






Mi piace pensare ai miei nonni e bis nonni, alla mia mamma bambina, ai miei zii...
mi piace pensarli in questa giornata particolare in mezzo a tutte queste persone, tanti anni dopo
le avrò conosciute anch'io, oggi sono sicuramente amica o conoscente di figli e nipoti, mi piace il filo
a volte spesso come una corda a volte sottile che lega le generazioni e le vite in un piccolo paese.
Le vecchie fotografie ne sono testimonianza.



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Cartelli, Insegna e Bandiere dei miei Viaggi


( ... ) E ' proprio quello che succede a tutti, prima o poi, durante il viaggio, e soprattutto durante
quel grande ed irripetibile viaggio che è la vita, di sentirsi un po' spersi, di aver bisogno di ritrovare
dei punti di riferimento, di aver bisogno di qualcuno che ci ricordi da dove arriviamo e dove stiamo andando,
forse di qualcuno che ci accompagni per un tratto del nostro cammino..






Incroci di tante strade ma anche tanti incroci nel grande viaggio che è la nostra vita,
ad ogni incrocio scegliamo un'opportunità scartandone altre che non sapremo mai dove 
ci avrebbero portati...spesse volte sono incroci senza indicazioni e noi scegliamo la strada così.
per intuito, a volte è la scelta giusta, a volte quella sbagliata e paghiamo il prezzo  della libertà di scelta
ma sempre contribuiscono a fare di noi ciò che siamo e ciò che saremo.



" In ogni singolo momento dell'esistenza siamo ciò che saremo
non meno di ciò che siamo stati "
(O. Wilde, De profundis )



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E' tutto Monica, è il diario di un anno vissuto insieme, un anno in cui abbiamo condiviso 
con tutte le altre partecipanti al gruppo un modo di viaggiare e di sentire,
spesso abbiamo condiviso molto di più che semplici spostamenti ma abbiamo condiviso
viaggi della mente e dell'anima che giudico i più importanti della nostra vita.
Questo è un grazie e un arrivederci, forse un giorno tornerai ad avere tempo a disposizione
e tornerai a gestire in prima persona la tua iniziativa...oppure te ne uscirai con qualche novità.
Io ti ringrazio per esserci stata e per esserci e ti abbraccio.


















Vacanza!

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Blog in vacanza...
ci rivediamo dopo la metà di Settembre con tante novità!
Un abbraccio a tutti.


                                                        

Fatterellando: L' Atelier Fontana - sogno all'italiana.

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La famiglia è sempre stata una grande risorsa verso il successo,
 quando c'è sentore di appartenenza e coesione tra i membri.
Rientrano a pieno titolo in questa categoria le sorelle Fontana - "Le sorelle della moda" -







Zoe, Micol e Giovanna, tre donne talentuose, unite e solidali che imparano il mestiere e lo
 trasformano in arte nella sartoria della mamma: una piccola azienda artigianale ereditata dalla nonna materna
nel 1907, nella natia Traversetolo in provincia di Parma.
Comincia così, da queste profonde radici familiari, la storia delle sorelle Fontana






La loro loro grande voglia di lavorare, il non aver paura del lavoro duro
, insieme alla continuità e al
rispetto delle origini, fa delle radici il filo che unisce, conducendole al successo come una sorta di tappeto rosso.





È bastato seguire la traccia delle generazioni passate,
dove identificarsi e poter crescere sia a livello personale che stilistico.
La famiglia Fontana era una famiglia ricca di tradizioni, tra la cucina genuina della pasta fatta in casa e le buone
maniere, accuratamente trasmesse dai genitori alle tre figlie.
Il padre era un uomo protettivo e comprensivo in modo equo con le tre figlie;
si differenziava dalla moglie la quale
aveva un rapporto privilegiato con Zoe, primogenita responsabile
e temperata, e con Giovanna, la minore, timida
e remissiva.





Micol  la seconda figlia  aveva un carattere determinato e tenace, tra le tre sorelle
sicuramente quella dal temperamento più forte e volitivo.
 Quando si prefiggeva un obiettivo non la
fermava nessun ostacolo compresa la disapprovazione e le punizioni della mamma
con la quale aveva un rapporto ambivalente di grande amore e di grande conflittualità.
Il padre invece riponeva grande fiducia in Micol  e  ne apprezzava la determinazione e l'audacia,
 audacia che determinò il loro successo lavorativo da una parte
ma anche pene e sofferenze nella sua vita privata: scegliendo, senza desistere, di sposare l'uomo sbagliato






Micol  aveva ripetuti e
consistenti scontri con la madre: il ruolo che si era ritagliata in famiglia, era quello dello spirito ribelle e non poteva fare altro.
Non poteva fare altro perché aveva trovato già occupati ruoli più morbidi e remissivi tipici del figlio primogenito,
per lo più responsabile e di buon esempio per gli altri quale era Zoe; poi c'era Giovanna, di un solo anno più
piccola di Micol, che  era la bambina di casa, 
 La stabilità di base e l'equilibrio familiare hanno fatto poi il resto: l'osare di Micol non  rappresentava
follia, ma capacità e talentuosa intuizione.







Da un punto di vista psicologico, è possibile
notare come l'ingrediente principale del loro successo ed il successo della loro moda nel mondo sia stato,
dall'inizio alla fine: l'appartenenza ai valori, ed i contenuti proposti dal loro sistema familiare di origine.
In particolare, la continuazione delle tradizioni dato che la loro professione non nasce ex novo, ma da una buona
evoluzione e sviluppo di quanto era già consolidato attraverso le due generazioni precedenti.





Gli intrecci tra l'aspetto familiare e quello lavorativo sono come le cuciture degli
abiti dell'atelier Fontana: armonici e senza strappi, anche nei momenti critici vissuti dalla famiglia e dai singoli
membri,
 si può avanzare l'ipotesi che è come se Micol avesse avuto il mandato
familiare, ovvero l'incarico, di essere un pioniere: colei cioè che nel gruppo delle sorelle è andata più delle altre
all'avanscoperta di innovazioni.
Dapprima per aver dato una svolta decisiva alle loro capacità artistiche e poi, anche nella sua vita privata, con la
separazione dal marito in un'epoca diversa da quella attuale.









La biografia delle tre stiliste rispecchia a pieno titolo lo stile di una fiaba: c'è dell'incredibile sì, ma soprattutto
un'evoluzione rapida (in quanto il loro successo arrivò in giovane età) attraverso i fatti, e una morale ben cucita al
ciclo evolutivo nella storia di vita delle protagoniste.
Da una piccola sartoria in un paese di provincia, all'alta moda internazionale, quasi come Cenerentola che da
domestica della matrigna e delle sorellastre divenne poi principessa.
La tenacia, la capacità di osare e il desiderio di mettersi in gioco, hanno pagato il conto allo stupore del loro nome,
diventato il fiore all'occhiello del made in Italy nel mondo, nel periodo storico che le ha viste protagoniste.




( fonte; 








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Le creazioni delle sorelle Fontana sono state pura innovazione per il mondo della moda,
Zoe, Micol e Giovanna partirono da un piccolo paese in provincia di Parma, 
dalla sartoria di famiglia dove le tre sorelle imparano l'arte del taglio e cucito come qualunque ragazzina dell'epoca; ma c'è più di qualche rammendo nel loro futuro.








Nel bel mezzo della seconda Guerra Mondiale, fondano con sacrificio la
 “Sorelle Fontana Alta Moda”,a Roma.
Pioniere di un nuovo modo di fare moda,lanciano l'innovativa idea di usare il tessuto stampato e una delle loro prime facoltose clienti sarà Gioia Marconi, figlia di Guglielmo Marconi







Il salto di qualità arriverà post-guerra con la richiesta di un abito per i fiori d'arancio
 tra Linda Christian e Tyron Power; 
è così che le italianissime sorelle Fontana sbarcano in America.
La cassa di risonanza legata all'evento è enorme a livello internazionale e
 Hollywood inizia ad interessarsi alle tre sorelle di Traversetolo.








Dopo la Christian anche Maria Pia di Savoia si fa confezionare l'abito per le sue nozze 
e sarà solo l'inizio di una favolosa carriera dove vestiranno le più grandi star hollywodiane della  loro epoca tra cui Liz Taylor, Grace Kelly, Audrey  Hepburn, la principessa Soraya, Ursula Andress, 
Jacqueline Kennedy  Onassis,  ma la loro punta di diamante sarà Ava Gardner, 
affezionata cliente e cara amica delle tre. Micol in particolare divenne amica e confidente di Ava Gardner che volle che nei suoi contratti fosse scritto che per i suoi costumi ci fossero soltanto le sorelle Fontana.









 Per la Gardner furono realizzati gli abiti dei film “La contessa scalza” (1954), “Il sole sorge ancora” (1957), “L’ultima spiaggia” (1959). Per lei è stato creato l’abito-redingote di linea “talare” in tessuto di lana-seta nera profili e bottoncini rossi, completato da cappello da Monsignore, con cordone e nappe, e la catena con croce. Detto “il pretino”.







Federico Fellini le vorrà come costumiste per “La Dolce Vita 






e successivamente saranno loro a creare le prime divise per Alitalia.
Nel 1953 si accingono a fondare il SIAM- Sindacato italiano Alta moda
 insieme ad altri grandi nomi dell'epoca.







L'atelier “Sorelle Fontana” è stato un trampolino di lancio per numerosi stilisti italiani e nel 2004
, Marco Coretti viene scelto per il rilancio del marchio.








Alcune creazioni sono esposte nei più importanti musei del mondo quali Louvre, 
Metropolitan, Guggenheim.







La filosofia e l'arte delle sorelle Fontana continua ad essere tramandata dalla Fondazione Micol Fontana;
ed è proprio Micol che prosegue la sua opera con i suoi 100 anni appena compiuti.
Un secolo di stile, arte e passione, un sogno di un secolo che con la sua forza ha portato il sacrificio e il coraggio delle pioniere della moda ad essere le ambasciatrici della moda italiana nel mondo.






Oltre alla Christian, altre donne celebri giunsero all’altare indossando creazioni targate Fontana: la stessa Hepburn e poi Margaret Truman, la Principessa Mariapia di Savoia, la Principessa Melba Ruffo di Calabria







.


“La moda si fa con gli spilli e con l’ago” è la frase che “spilla” decisamente il pensiero di Micol Fontana.



Fondazione Micol Fontana, Roma

Un archivio storico nato nel 1994. Un fondo che è anche un’associazione non-profit, 
con scopo divulgativo e di conservazione, tutto dedicato a uno straordinario capitolo della storia del fashion italiano: La Fondazione Micol Fontana, 
ente riconosciuto dalla Regione Lazio e dal Ministero per i Beni Culturali, raccoglie l’eredità del celebre atelier romano di alta moda Sorelle Fontana, fondato nel 1943 dalle stiliste Micol, Zoe e Giovanna,
 pioniere del made in Italy, entrate nel mito grazie a una combinazione virtuosa tra spirito imprenditoriale, eccellenza sartoriale e sperimentazione creativa. 
Sempre nel segno di un’italianità riconosciuta e celebrata nel mondo.






Micol Fontana, cent’anni d’età e un background professionale dal valore inestimabile, diede vita 19 anni fa alla sua Fondazione, che oggi custodisce oltre 200 abiti d’epoca, una vasta raccolta di figurini,
 ricami ed accessori, e poi biblioteca, emeroteca, fondo fotografico. 
Una memoria storica preziosa, messa al servizio delle nuove generazioni, tra cui brillano alcune perle: 
dai modelli creati per donne celebri, che abbiamo già citato, come Jacqueline Kennedy, Grace di Monaco, Soraya di Persia, ai costumi di scena disegnati per grandi attrici di Hollywood, da Elizabeth Taylor a Audrey Hepburn, da Ursula Andress a Ava Gardner, fino all’abito-icona che indossò Linda Christian nel 1949, per il giorno del suo matrimonio romano con l’attore Tyrone Power.(Oltre alla Christian, altre donne celebri giunsero all’altare indossando creazioni targate Fontana: la stessa Hepburn e poi Margaret Truman, la Principessa Mariapia di Savoia, la Principessa Melba Ruffo di Calabria. )






Ed è proprio il tema della “sposa” ad aver connotato la produzione dell’Atelier Sorelle Fontana, 
grazie a un gusto, uno stile e una ricercatezza che fecero epoca, per il più classico degli abiti femminili. 
Oggi, a distanza di 64 anni da quello sfavillante matrimonio capitolino in salsa hollywoodiana, la Fondazione Micol Fontana propone dei Seminari dedicati all’abito da sposa. 







Tutti i seminari dell’Atelier si rivolgono a studenti di Accademie, Corsi Universitari 
o Istituti Superiori a indirizzo moda, con l’obiettivo di fornire stimoli creativi, nozioni tecniche e 
informazioni storiche, consentendo di venire a contatto con un tesoro da osservare, consultare, 
toccare e a cui ispirarsi: abiti, disegni, riviste, accessori, fotografie, tessuti.




( immagini dal web )



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La curiosità di Antonella:


il segreto delle Sorelle Fontana è racchiuso  nella parola “semplicità”, la “madama” onnipresente sia nel loro modo di lavorare che di vivere la vita, ma soprattutto nel modo di sentirsi donne:

“Essere semplici. Essere eleganti sempre quando si esce di casa la mattina. Saper abbinare bene i colori. E uno stesso vestito si può rinnovare anche solo cambiando un dettaglio, un accessorio. Per esempio le scarpe sono importantissime. Le italiane le vedi in pompa magna a teatro e neppure le riconosci di giorno."




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Per conoscere l'affascinante vita delle Sorelle Fontana vi invito a passare da  Audrey 
che vi racconterà tutto.










Compie cento anni la piccola rivoluzione della chiusura lampo.

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Questa volta  parliamo di un sistema di chiusura molto usato nell'abbigliamento.
Consiste in un doppio nastro munito di piccoli denti metallici o di plastica che, 
mediante lo scorrimento di un apposito cursore, si incastrano gli uni dentro gli altri
congiungendo due parti di stoffa. Avrete certamente compreso che si tratta della chiusura lampo
che proprio nel maggio di quest'anno ha festeggiato i 100 anni della sua definitiva
consacrazione attraverso la fase di registrazione del brevetto hoo - kless,
( da noi tradotto in fermo - separabile ) da parte dell'ingegnere svedese, poi naturalizzato
statunitense, Otto Frederik Gideon Sundback.








Ma come lo stesso Sundback ha sempre sostenuto, la sua invenzione perfezionata  non 
avrebbe potuto realizzarsi senza il fondamentale contributo iniziale  di
Whitcomb L. Judson, un agente di viaggio, nato nel 1846 a Chicago ( Illinois ) che nel 1891
inventò casualmente la claps - locker ( fermaglio chiuso )
prototipo della chiusura lampo, che pur avendo alcune imperfezioni rispetto al brevetto
del 1914, deve comunque ritenersi il primo tentativo concreto in assoluto.








Judson stesso peraltro, provvide ad una sorta di registrazione dell'invenzione
ed iniziò un tentativo di produzione in serie, ma il sistema di uncini che si compattavano
 con piccoli anelli tendeva con troppa facilità a separarsi al primo tentativo di pressione.








Gideon era nato a Jonkoping, una città svedese a metà tra Stoccolma e Malmo, il 24 aprile 1880.
Dopo gli studi regolari nel suo Paese fino al diploma, per conseguire la laurea in Ingegneria
si iscrisse al politecnico tedesco di Bingen, dove concluse gli studi nel 1903.
Lanno dopo emigrò negli Usa, forte di un contratto con la Wesstighouse Electric di Filadelfia
( Pennsylvania ), e , nel 1906 venne assunto dalla Universal Fastener Company
di Hoboken ( New Jersey ), una società di progettazione decisamente all'avanguardia.








Nel 1908 sposò Elvira Aronson, figlia del maggiore azionista dell'azienda,
e divenne capo progettista con il compito, tra gli altri, di migliorare la claps-  locker di Judson.
Deceduta improvvisamente la moglie alla fine del 1911 , Sundback si dedicò anima e corpo al
suo lavoro e a metà del 1913  aveva trovato la soluzione affinchè la hook - less
fosse resistenze ed affidabile mediante dentelli appositi che, unendosi al contatto con il cursore,
formassero una chiusura decisamente robusta.








La grande occasione arrivò nel 1917 quando la sartoria Simon Vary di New York
realizzò oltre 25.000 pantaloni per la Marina statunitense utilizzando altrettante "lampo "
 per la chiusura ermetica di un taschino porta documenti.








In seguito Sundback divenne Presidente della Lightern Elvira Aronson Company,
in ricordo della moglie, e produsse a livello industriale le chiusure lampo con macchinari
da lui stesso ideati e realizzati. 
Insignito della Medaglia d'Oro  della Reale Accademia delle Scienze di Svezia
nel 1951, Gideon si spense a Meadville ( Pennsylvania ) il 21 giugno 1954





( Stefano De Benedetti, Libero )
( Immagini dal web )











Colazioni al Quart de Lune

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Sono una che non torna....per quanto un posto mi sia piaciuto, per quanto io sia stata bene
preferisco non tornare e provare posti nuovi...
Ma il B&B Quart de Lune di Quart ( AO ) di cui vi ho parlato a lungo QUI 
mi ha rubato il cuore e così per le nostre vacanze di Settembre abbiamo deciso di tornarci.






Sempre splendida la casa curata fino nei minimi particolari, quest'anno arricchita 
dall'importante Albero Genealogico dipinto sulla parete dell'ingresso e sempre
calorosa l'accoglienza della Signora Emanuela e del suo " cucciolone " Parsifal.






Come lo scorso anno siamo stati benissimo e anche i nostri quattro zampe
sono stati accolti nel migliore dei modi e sono ritornati a casa con tanti vizietti in più.
Quest'anno Emanuela ha concentrato la sua attenzione sulle colazioni sfoggiando belle
tovaglie ricamate a punto croce e arricchite con pizzo veneziano oppure dallo 
sfilato siciliano, delicate porcellane finemente decorate e scintillanti porta dolci.















Ogni mattina sulla tavola la golosa marmellata di mirtilli e pesche
da gustare con il burro di montagna spalmato sul pane nero reso irresistibile
dall'uva i fichi e le noci abbondantemente sparsi al suo interno.






Le eleganti cupole nel cui interno erano disposti piccoli, deliziosi biscotti










Non mancava mai il miele profumatissimo e l'alzatina di frutta fresca










Ma il vero tocco di classe quest'anno era dato dalla piccola pasticceria " alla francese "
preparata ogni giorno dalla Signora Emanuela...ogni giorno un dolce diverso ,
sempre freschissimo e goloso...






E così via via abbiamo assaggiato le favolose ricottine con i petali di rosa...






Le stupende tortine di nocciole...






Ci siamo fatti conquistare dalle piccole crostate di amarene...






...e coccolare dagli squisiti dolcetti ripieni di crema Gianduia ( quella vera...)






...e ancora, ci siamo fatti intenerire dalle crostate di mele...come quelle di una volta...







Poi, così addolciti, partivamo per le nostre escursioni in montagna,
ogni sera la Signora Emanuela mi aspettava con la sua eccellente selezione di thè e
per una piacevole chiacchierata. Come già lo scorso anno per noi è stato un soggiorno
splendido, in una casa da sogno con una signora sempre disponibile a fornire informazioni
e consigli affinchè le nostre giornate fossero vissute al meglio






Questo post è dedicato ad Emanuela
con il nostro grazie per averci fatto vivere, ancora una volta, una favola.






Per altre informazioni su questo B&B leggi anche Quart de Lune
















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Le tre teste di Modì

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Basti pensare a Han Van Meegeren, il più grande falsario della storia,
in grado di riprodurre alla perfezione  i capolavori di Vermeer e di riuscire a venderli
a collezionisti rapaci quali Himmler e Goering. Quando nel dopoguerra fu processato 
per collaborazionismo per aver venduto tele inestimabili ai gerarchi nazisti, Van Meegeren
si discolpò dipingendo davanti ai giudici uni stupendo " Gesù tra i Dottori " nello stile inconfondibile del maestro olandese.






Nulla di strano dunque che a patacche più recenti, i clamorosi falsi Modigliani, le tre
sculture di volti di donna rinvenute nell'estate 1984 nel Fosso Reale di Livorno,
sia stata dedicata una mostra in Fortezza Vecchia che si è chiusa il 14 settembre e che ha 
riscosso un notevole successo.







Le tre teste false di Modì ne fecero cadere una vera, metaforicamente parlando:
quella di Vera Durbè, all'epoca conservatrice dei musei civici livornesi e
direttrice del museo di Villa Maria, dove nel maggio del 1984 si innaugurò la sensazionale
mostra che avrebbe dovuto celebrare il centenario della nascita di Amedeo Modigliani






Mi piace riassumere qui la storia di questa burla e contare, oltre alle teste cadute,
anche le facce perse, soprattutto di venerati critici d'arte che si affrettarono ad autenticare
le grottesche sculture realizzate dai burloni. Prima di tutto, chi erano questi ultimi?






Come i tre moschettieri erano quattro, tutti studenti universitari:
Pietro Luridiana,Francesco Ferrucci, Michele Gherarducci, Michele Genovesi,
che però si smarcò presto dalla vicenda.  Per inciso, alla mostra inaugurata dal neo sindaco Nogarin
c'erano quasi tutti i falsari, oggi affermati professionisti. (Ferrucci, ad esempio, è oncologo, vicedirettore
del settore melanomi della Ieo, con Umberto Veronesi ).






L'idea venne loro quando nel luglio del centenario lessero sul diffusissimo
settimanale Gente l'annuncio della curatrice della mostra, Vera Durbè,  che si 
sarebbe provveduto a dragare i fossi livornesi all'inseguimento delle leggendarie quattro
sculture che Modì, insoddisfatto quanto Michelangelo davanti al Mosè, avrebbe buttato in acqua.






Una fola che la dottoressa Durbè aveva tirato fuori dal cilindro per risollevare 
le sorti della mostra, carente di opere: solo 4 sculture su 26 riconosciute di Modigliani.
L'idea di setacciare i fossi avrebbe creato il giusto clamore per riaccendere l'attenzione del pubblico,
otre a fornire un giallo estivo a sfondo artistico.






Naturalmente il Diavolo, nella persona dei quattro burloni, e di un quinto rincalzo,
l'artista fallito ( ma non senza talento ) Angelo Froglia, ci mese la coda.
Le ricerche godono addirittura della copertura televisiva, e dell'uso di una draga progettata appositamente.
E un bel giorno, il 24 luglio per la precisione,  Eureka!, sotto gli occhi dei livornesi e
delle telecamere viene a galla la così detta Modì 1, cioè la prima testa di donna.






E l'entusiasmo cresce ancora quando la draga recupera altre due teste,
Modì 2 e Modì 3. Tre sculture di Amedeo Modigliani recuperate dai fossi livornesi:
la leggenda dunque era vera, un evento di portata storica per l'arte mondiale.






Dalle stelle alle stalle: i primi a dichiararsi sono Luridiana, Ferrucci  e Ghelarducci,
che si presentano a Panorama con le foto di Modì 2  prima di gettarla nel fosso,
uno scoop in cambio di 10.000.000 di lire. Vera Durbè, pateticamente, ribatte ostinata che
la loro affermazione non vale nulla: e quelli rifanno Modì 2 in diretta TV, con il trapano
Black e Decker ( che sfrutterà la vicenda con uno slogan " E' facile essere bravi con Black e Decker ".






Poi il grande critico Federico Zeri, che a differenza degli svergognati Giulio Carlo Argan
e Cesare Brandi, aveva fin da principio screditato le teste, invita, sempre in TV,
l'artefice di Modì1 e Modì 3 a palesarsi. A settembre il quinto falsario esce allo scoperto:
è Angelo Froglia, pittore povero in canna, un Modigliani in sedicesimo, donnaiolo, con il
vizietto dell'eroina, che spiega il suo gesto come un attacco alla società dei consumi e dei media
che ha inquinato la purezza dei valori artistici.






Nel mezzo della farsa, un evento luttuoso: la morte, tre giorni dopo il primo " ritrovamento "
di Jeanne Modigliani, la figlia di Amedeo che era stata emarginata da Vera Durbè
perchè in disaccordo sull'attribuzione di alcune opere al padre.






Ma la storia non è finita: a febbraio è cominciato a Roma il processo a carico
di Christian Parisot, presidente dell'archivio Modigliani, accusato di aver autenticato
e venduto opere false.
Dopo trent'anni continuano ad emergere patacche dai fossi





( immagini dal web )
( Fonte Libero )



















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Oriana Fallaci / Intervista con la Storia

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Gli anni Sessanta e Settanta vedono Oriana in prima linea sui fronti più caldi del mondo: il Vietnam, piazza delle Tre Culture a Città del Messico, Detroit sconvolta dalla rivolta dei neri, la terribile guerra indo-pachistana, la resistenza greca al regime dei Colonnelli, il Medioriente e il Sudamerica.
La Fallaci giornalista è ovunque, e come un tarlo fa di tutto per vivere «dentro la Storia. Vivere la Storia nell’attimo stesso in cui essa si svolge. Testimoniare le nefandezze della guerra e le porcherie della pace». 
Per capirne i meccanismi più segreti incontra e intervista senza sconti tutti i politici più in vista – e di conseguenza più intoccabili – del mondo, i personaggi «che avendo vinto la lotteria del potere decidono il nostro destino».







Dal capo della CIA William Colby a Yassir Arafat, dall’intervista contestatissima in cui il consigliere della sicurezza statunitense Henry Kissinger avrebbe affermato – e poi negato – di sentirsi come «un cowboy solitario» alla guida dell’America e del mondo, a quella all’Iman Khomeini, in cui Oriana si tolse polemicamente il chador definendolo «stupido cencio da medioevo»: passando per l’incontro con il generale Giap, Pietro Nenni, Golda Meir, il suo compagno Alekos Panagulis, Ali Bhutto, Hussein di Giordania, Nguyen Van Thieu, Indira Gandhi e tanti altri, la tenacia e la passione della Fallaci danno vita a documenti eccezionali che condannano spietatamente il potere, spronando alla disubbidienza e a un’incondizionata lotta per la libertà.






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Per conoscerlo un po'



" Questo libro non vuol essere qualcosa in più di ciò che è: vale a dire una testimonianza diretta su ventisei personaggi politici della storia contemporanea. Non vuole promettere nulla in più di ciò che promette: vale a dire un documento a cavallo tra il giornalismo e la storia. Però non vuole presentarsi nemmeno come una semplice raccolta di interviste per gli studiosi del potere e dell’antipotere. Io non mi sento, né riuscirò mai a sentirmi, un freddo registratore di quel che ascolto e che vedo. Su ogni esperienza professionale lascio brandelli d’anima, a quel che ascolto e che vedo partecipo come se la cosa mi riguardasse personalmente o dovessi prender posizione, (infatti la prendo, sempre, in base a una precisa scelta morale), e dai ventisei personaggi non mi recai col distacco dell’anatomista o del cronista imperturbabile. Mi recai oppressa da mille rabbie, mille interrogativi che prima di investire loro investivano me stessa, e con la speranza di comprendere in che modo, stando al potere o avversandolo, essi determinano il nostro destino. Per esempio: la storia è fatta da tutti o da pochi? Dipende da leggi universali o da alcuni individui e basta?
È un vecchio dilemma, lo so, che nessuno ha risolto e nessuno risolverà mai. È anche una vecchia trappola in cui cadere è pericolosissimo perché ogni risposta porta in sé la sua contraddizione. Non a caso molti rispondono col compromesso e sostengono che la storia è fatta da tutti e da pochi, che i pochi emergono fino al comando perché nascono al momento giusto e sanno interpretarlo. Forse. Ma chi non si illude sulla tragedia assurda della vita è portato piuttosto a seguire Pascal quando dice che, se il naso di Cleopatra fosse stato più corto, l’intera faccia della terra sarebbe cambiata; è portato piuttosto a temere ciò che temeva Bertrand Russell quando scriveva: «Lascia perdere, quel che accade nel mondo non dipende da te. Dipende dal signor Krusciov, dal signor Mao Tse-tung, dal signor Foster Dulles. Se loro dicono “morite” noi morremo, se loro dicono “vivete” noi vivremo». Non riesco a dargli torto. Non riesco a escludere insomma che la nostra esistenza sia decisa da pochi, dai bei sogni o dai capricci di pochi, dall’iniziativa o dall’arbitrio di pochi. Quei pochi che attraverso le idee, le scoperte, le rivoluzioni, le guerre, addirittura un semplice gesto, l’uccisione di un tiranno, cambiano il corso delle cose e il destino della maggioranza.
Certo è un’ipotesi atroce. È un pensiero che offende perché, in tal caso, noi che diventiamo? Greggi impotenti nelle mani di un pastore ora nobile ora infame? Materiale di contorno, foglie trascinate dal vento? E per negarlo abbracci magari la tesi dei marxisti secondo cui tutto si risolve con la lotta di classe: la-storia-la-fanno-i-popoli-attraverso-la-lotta-di-classe. Però presto ti accorgi che la realtà quotidiana smentisce anche loro, presto obbietti che senza Marx non esisterebbe il marxismo (nessuno può dimostrare che, se Marx non fosse nato o non avesse scritto Il capitale, John Smith o Mario Rossi l’avrebbero scritto). E sconsolato concludi che a dare una svolta anziché un’altra son pochi, a farci prendere una strada anziché un’altra son pochi, a partorire le idee, le scoperte, le rivoluzioni, le guerre, a uccidere i tiranni son pochi. Ancor più sconsolato ti chiedi come siano quei pochi: più intelligenti di noi, più forti di noi, più illuminati di noi, più intraprendenti di noi? Oppure individui come noi, né meglio né peggio di noi, creature qualsiasi che non meritano la nostra collera, la nostra ammirazione, la nostra invidia? "









Vacanza in Valle d'Aosta / Il passo del Gran San Bernardo

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La prima escursione durante la nostra vacanza in Valle d'Aosta è stato il Colle del
Gran San Bernardo, desideravo già andarci lo scorso anno poi la stagione era troppo avanzata
ed il colle chiuso e quindi abbiamo rimandato a quest'anno.






In realtà io ci tenevo tanto ad arrivare fin quassù per vedere i cuccioli di San Bernardo
ma purtroppo i cuccioli non c'erano, c'era solo qualche cane adulto che, così, rinchiuso nelle
gabbie mi ha fatto anche pena






Vi lascio con qualche bella immagine di questa meravigliose montagne
e di questa prima giornata di vacanza.































































Il Tempo delle Mele

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Per tutto c'è una prima volta, anche per la raccolta delle mele...,
 questa per me è stata la prima volta...un po' ironicamente mi chiedo se è normale
che il " mio tempo delle mele " sia arrivato a 56 anni!






Sono venuti ad abitare " provvisoriamente " nella loro casa " di campagna ", accanto alla mia,
I. ed E.; come in tutti i paesi piccoli anche nel mio ci si conosce tutti da sempre
ma spesso mancano le occasioni per fermarsi e chiacchierare un po'...qui, un po' fuori paese,
dove sembra di essere sempre in vacanza, è più facile fermarsi a parlare nei cortili o lungo 
i " carai ", si passa più velocemente dal lei al tu,  sul far della sera si chiacchiera un po' più
volentieri, ci si vede tante volte nel corso della stessa giornata e così, una parola tira l'altra, Isa
mi ha invitata ad andare a raccogliere le mele con lei.






E' stata la mia prima raccolta...giornata splendida, cielo azzurrissimo come solo Settembre
 lo sa regalare, il sole ancora caldo, qualche chiacchiera e le ceste che mano a mano si riempivano
 di mele profumatissime. Sembra incredibile ma il prato era letteralmente coperto di mele,
non ci si poteva muovere senza pestarle...






Ad I. piace molto  curare il giardino, l'orto, gli alberi,
il suo giardino è esattamente l'opposto del mio: pieno di fiori , curato, pulito,
nel mio, per quanto mi impegni, è sempre tutto secco e sembra che sia appena passato un ciclone.






Insomma, tra una chiacchierata e l'altra le cassette di mele si sono moltiplicate
e alla fine quando sono tornata a casa ne avevo veramente tante.
Un po' le ho " allargate " in cantina, mi hanno detto che così si conservano tutto l'inverno,
una parte l'ho cotta con rum e cioccolata , le rimanenti  le ho cotte con vino rosso, cannella e buccia d'arancia e ho riempito il congelatore di vasetti.






E' stato veramente bello, ma per me la cosa più bella è sempre scoprire più da vicino
le persone,  non limitarsi ad un saluto ma raccontarsi un po', scoprire quello che alle persone piace,
scoprire quello che amano...ecco questo per me è il più bel " raccolto"...
Mi piace molto anche avere dei vicini di casa che hanno più o meno la nostra età,
mi sembra che qui, ai margini del bosco, ci sia un po' più di vita...
Quando sono venuta ad abitare in questa casa questi cortili erano tutti abitati, 
nelle giornate serene era tutto un parlarsi da un orto all'altro, un salutarsi, la domenica pomeriggio
risuonava un chiacchiericcio continuo. Poi un po' per volta se ne sono andati tutti  e qui 
è rimasto solo un grande silenzio e case chiuse, quasi sempre tutto questo silenzio è piacevole
ascolto il vento tra le foglie, gli uccelli che cantano dal mattino alla sera 
però a volte tutte queste case disabitate mettono tristezza, raccontano la storia di un paese che 
un po' per volta muore.







Tornando alle mele ora la mia casa è piena del profumo di questi frutti,
di quello della cannella e della scorza d'arancia...e fa già pensare un pochino al profumo di Natale!


















Oggi abbaiamo noi: Cani sfortunati e regali di Natale

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Ciao a tutti, sono Platone, come sapete a volte prendiamo noi pelosi la parola per dare una 
mano alla nostra umana quando si trova in difficoltà con il blog.
Oggi abbiamo proprio bisogno di raccontarvi una cosa molto importante...








Come sapete noi siamo due cagnetti molto, molto fortunati...la nostra vita è cominciata male,
siamo finiti in canile che eravamo ancora dei cuccioli e dopo un anno, quando quasi non ci 
speravamo più, è arrivata lei, la nostra umana, e da quel momento la nostra vita è cambiata...
adesso siamo dei cani coccolati, curati, amati e...anche un po' viziati e siamo tanto felici...
ma non per tutti i cani è così.








Purtroppo tanti cani vengono abbandonati, picchiati, lasciati sulla strada,
quando le cose vanno bene vengono accolti in un canile e , a volte - come è successo a noi,
trovano una nuova famiglia e una nuova casa, ma, soprattutto se non sono più cuccioli e se la vita
dura che hanno fatto ha lasciato il segno, il loro destino è di rimanere chiusi
in una gabbia per sempre.







Come sapete i canili non hanno mai tanti mezzi anche se i volontari si danno
tanto da fare è sempre difficile avere i soldi per curare e nutrire a dovere tutti questi
amici così sfortunati.








La mia umana ha un' amica, che è la nostra zia Clò, che ha un cuore grandissimo
e dedica la sua vita ad aiutare i rifugi e i canili che ne hanno bisogno, si è prodigata tanto
e molti cani, grazie a lei, hanno trovato una famiglia che li ama e alcuni vivono con lei.








Mi sono stupito un po' quando l'altro giorno è venuta a casa nostra, di solito
lei viene solo per il pranzo di Natale, ma poi ho capito subito che c'era qualche decisione
importante da prendere...si sono sedute intorno al tavolo della cucina, hanno confabulato un po'
e alla fine hanno avuto una bellissima idea.







La zia Clò ha realizzato a mano dei gioielli stupendi e l'idea è quella di proporli a 
voi umani amanti degli animali e anche a quelli di voi  che forse non ci amano così tanto
ma che comunque hanno un animo sensibile.
Io non me ne intendo tanto ma Cassandra, che riguardo alla moda sa il fatto suo, dice
che sono bellissimi.








La zia Clò donerà tutto il ricavato dalla vendita ai cani bisognosi. in particolare a

Gli Amici di Balto ( canile di Cerignola )

Il Rifugio di Stefania

e tanti cani sfortunati potranno avere la possibilità di vivere un po' meglio.
So che voi umani  vi fate spesso dei regali per il compleanno e soprattutto per Natale,
questo è un bel modo di fare degli auguri speciali e in più fare del bene...
Ma a questo punto sono obbligato a lasciare la parola a Cassandra che non sta più nella pelle
dalla voglia di farvi vedere le meraviglie della zia Clò








Ciao Amici, sono Cassandra e sono la testimonial di questa nuova linea di gioielli
" I Gioielli di Camilla "
creata dalla nostra zia umana per aiutare, come vi ha già spiegato Platone, tanti cani che hanno
bisogno di cure e di assistenza.
Vedrete qui sotto le fotografie di parte della collezione che è visibile nella sua interezza
sul profilo FB della zia



troverete anche i prezzi che vi lasceranno  senza parole per quanto sono bassi
( davvero pochi euro )...insomma non due ma addirittura tre piccioni con una fava per il 
vostro Natale: un bellissimo regalo, la possibilità di fare del bene a tanti amici pelosi e in più
spendendo pochissimo...che in tempi di crisi non è poco.
Avrete già visto le fotografie qui sopra  e ora vi lascio ammirare questi altri capolavori...




























Ogni oggetto sarà inserito in un sacchettino di organza, all'interno oltre all'oggetto
troverete un cartoncino scritto a mano con la penna stilografica ( io sono un cane , non so cos'è una
penna stilografica, ma mi hanno detto di dire così! ) con una bella citazione sui cani ( o se 
 lo vorrete sui gatti ) e sarà specificata anche la finalità benefica dell'iniziativa.










































Belle vero? E allora cosa aspettate correte a visitare la pagina Fb della
Zia Clò...sono certa che ne sarete entusiasti anche voi.
Platone ed io vi ringraziamo tanto per il bene che sicuramente farete ai nostri amici pelosi!
























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E adesso arrivo io...Mi sembrava bello che a dirvelo fossero loro, cani che hanno 
provato la solitudine e la tristezza del canile...
Come avrete capito la mia cara amica dal cuore d'oro dedica la sua vita a questi amici che
 non hanno voce...ha aiutato a salvare tante piccole, grandi vite, ha ridato felicità
a tanti occhi buoni e sinceri...aiutiamola ad aiutare!








( Il resoconto delle eventuali vendite, l'elenco dei canili aiutati e le copie dei 
bonifici saranno pubblicati sulla sua pagina Fb e su questo blog )









I Ponti dei miei Viaggi

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" Sono fra le opere umane più antiche, costruiti fin dai tempi più remoti per legare due sponde, furono sempre opere ardite non solo per la difficoltà di portare a termine la struttura architettonica, ma poiché i fiumi erano considerati sacri e costruire un ponte era considerato una vera e propria violenza che doveva essere riparata con riti propiziatori alle divinità. Nell’antica Roma a ciò provvedeva il collegio sacerdotale dei pontefici, da pontem facere, il termine lo usiamo ancora per indicare il massimo esponente della Chiesa cattolica!"

Queste le parole con cui Alessandra, che gestisce questo mese Il senso dei miei viaggi, introduce
il suo argomento " I ponti dei miei viaggi "

Sul subito mi è sembrato un argomento facile facile poi man mano che i giorni  passavano
mi rendevo conto che non era poi così semplice perche, è vero che di ponti è pieno il mondo e 
in genere abbondano nelle fotografie che scattiamo,  ma di ponti che rappresentino veramente qualche cosa di  importante e di insostituibile nella nostra vita ce ne sono ben pochi, e non parlo solo di ponti importanti e monumentali, di ponti famosi che hanno fatto e visto la storia parlo anche di ponti " quotidiani " , 
di ponti che nel bene e nel male conoscono la " nostra " storia.


Il ponte della nave sulla quale ho navigato il Nilo







I ponti delle navi mi hanno sempre affascinata, forse perchè, sebbene viviamo in montagna,
 siamo una famiglia di navigatori e quindi il mare ci scorre un po' nelle vene,
o forse perchè mi ricordano le immagini di tanti vecchi film o ancora perchè camminare sui ponti
delle navi è un po' come camminare in un luogo non luogo e in un tempo non tempo, 
un po' sospesi tra mare e cielo senza un dove e senza un quando o più semplicemente perchè 
sulle navi ho trascorso momenti indimenticabili che fanno parte del mio bagaglio di ricordi
e di emozioni. Momenti fermati per sempre in pagine di diario e fotografie, come 
il ponte del battello fluviale che navigava al tramonto sulle acque del Nilo, il silenzio appena turbato 
dal mormorio delle acque del fiume e dalla nenia lontana del muezzin e il sole scendeva lentamente
all'orizzonte.



La grandezza dell'uomo è di essere un ponte e non uno scopo: 
nell'uomo si può amare che egli sia una transizione e un tramonto.

( Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra, 1883/85 )




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Dal ponte sul Sessera, il torrente che attraversa il mio paese








Ho sempre sostenuto che il più grande viaggio che l'uomo possa intraprendere è quello
attraverso la proprio vita e il proprio spirito, difficilmente sarà possibile trovare ciò che ostinatamente 
da sempre l'essere umano cerca in un luogo che non sia casa...e anche il bello, quel bello che alla fine
 placa l'anima sempre in affannosa ricerca,  il più delle volte è proprio lì dove siamo nati e dove 
consapevolmente o meno cerchiamo sempre di tornare.
Ogni volta che percorro questo ponte sul torrente Sessera a Coggiola alzo lo sguardo
verso le montagne, su cieli spesso nuvolosi ma a volte di un azzurro accecante, sulle case 
disposte poco sopra gli argini...guardo queste acque che scendono a valle rumorosamente intorno
alle quali erano fiorite le nostre industrie laniere, acque che hanno anche saputo farci del male e penso
che sì, è qui che voglio sempre tornare.




" I personaggi, le frasi e le parole trovate nei libri sono come ponti 
che ti permettono di spostarti da dove sei verso dove vuoi andare, 
e quasi sempre è un ponte che unisce il tuo vecchio io a quello nuovo che ti attende.
( Fabio Volo, Il tempo che vorrei, 2009 )



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Il ponte dell'amicizia: le mani di due amici che si stringono







Il ponte più importante che un essere umano possa attraversare secondo me è quello
che lo porta non su un altra sponda ma quello che lo unisce a un'altra persona,
si attraversa un ponte che unisce due anime, anzi lo si costruisce con calma giorno dopo giorno,
ed è un ponte che va curato, che fa " restaurato " periodicamente, accresciuto...a volte gli scossoni
della vita, così come le acque quando diventano turbolente, lo intaccano e allora bisogna saper
intervenire e il ponte ne uscirà più forte e resistente di prima.
Ecco, per me il più bel ponte mai costruito sono le mani di due amici che si stringono...
( Quelle della fotografia sono le mani di mio marito e della nostra amica Serina. )



Chi non si ama può darsi a chiunque. 
L'amore per sé è il ponte necessario per arrivare all'altro.
( Fabio Volo, Un posto nel mondo, 2006 )



Con questo post partecipo a Il senso dei miei viaggi
questo mese gestito da Alessandra





La storia in cucina: l'aringa di Lenin, il gin di Eltsin, La dieta che distrusse i comunisti.

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Lenin era un soggetto nevrastenico con una fragilità cerebrovascolare probabilmente congenita.
Vladimir Ilic Ulijanov era anche debole di stomaco, per cui sua moglie, Nadja Krupskaja, sorvegliava
attentamente che osservasse la dieta. Il che non doveva rappresentare un grande sforzo, in quanto pare che Lenin mangiasse qualsiasi cosa lei gli presentasse davanti







Nel 1916, la coppia viveva in esilio, a Zurigo, e accanto alla loro casa, al numero 14
di Spiegelgasse, c'era il negozio di un macellaio che produceva salsicce.
Vladimir Ilic era talmente talmente disgustato dall'odore che vi proveniva da evitare ogni contatto con i cibi grassi. Per risparmiare i due coniugi cominciarono a mangiare carne di cavallo, anzichè di manzo o pollo.







Il 3 aprile 1917, Lenin giunse a  Pietroburgo, in un vagone piombato, per prepararsi
a guidare l'ormai imminente Rivoluzione di Ottobre. Testimone della partenza del leader bolscevico,
da un binario della stazione di Zurigo, fu il barone tedesco Wernwr Von der Schulenburg,
affascinante figura di letterato, amico di Margherita Scarfatti e cugino del conte 
Friedrich Werner Schulenburg, ambasciatrice del Reich a Mosca negli anni della seconda
guerra mondiale. Quest'ultimo fu coinvolto nell'operazione Valchiria, il tentativo di assassinare
Hitler, fallito il 20 luglio 1944. Il barone Shulenburg, in un raro scritto pressochè sconosciuto,
ci ha lasciato una straordinaria descrizione di Lenin.







Lo incontrò in quell'esordio di primavera del '17, in qualità di attachè dell'addetto
militare dell'ambasciata imperiale tedesca a Berna, per concordare i preparativi della partenza del rivoluzionario russo dal suolo elvetico. L'aristocratico germanico fu invitato da Vladimir Ilic a prendere il tè 
con lui, nella stanza disadorna di un alberghetto di Berna dove il futuro capo del Cremlino alloggiava.
Già il rito borghesissimo del tè pomeridiano contrasta con le costumanze che ci si attenderebbe
di osservare nell'artefice dell'assalto al Palazzo d'Inverno.






Schulenburg, rimase impressionato dalle fattezze fisiche di del tartaro Lenin. da lui
descritto come: " malvagiamente brutto ", tanto da apparire intagliato nel legno grezzo, 
dalla mano esperta di un burattinaio. " Tutta la costituzione del viso partiva dalla bocca.
Non era una bocca, erano delle fauci, era il cratere di un vulcano. Le pieghe profonde dagli angoli della bocca salivano fino alla radice del naso formando con le labbra un triangoli profondo dentro il quale
scendeva appuntita la punta del naso. Al di sotto della bocca si formava un altro triangolo con
due lati dati dal forte mento informe e il pizzetto. Tutto il volto non era cresciuto in modo organico
bensì vulcanico; un cratere vulcanico con due triangoli. Tutto il resto del volto era affilato ma piccolo. Sotto alla fronte bassa scintillavano gli occhi piccoli; incastonati nelle ossa bianche che trasparivano sotto
la pelle grigia; guance vuote e infossate. Era l'immagine dell'Asia "







Con la vittoriosa ascesa alla guida del partito bolscevico e del Consiglio dei Commisari del Popolo
della nascente Unione Sovietica, la salute di Lenin andò progressivamente peggiorando,
anche in ragione del suo disordinato regime alimentare. Non di rado, infatti, totalmente assorbito
dagli affari politici, si dimenticava di mangiare. E, quando se ne ricordava,i suoi pasti consistevano, il
più delle volte, in un'aringa in salamoia, consumata in fretta e furia, con un po' di pane.
Stroncato da un devastante ictus cerebrale, ultimo di una lunga serie, e per questo letale,
Lenin morì il 21 gennaio 1924.







Il suo successore, Josif Stalin, fu assai meno frugale nelle abitudini alimentari.
Grande amante del Khvanchkara, il più popolare dei vini prodotti nella sua terra natale, la Georgia,
Stalin finì per trasformarlo nel protagonista dei brindisi ai banchetti da lui offerti al Cremlino.
Il Khvancchkara fu anche servito al presidente americano Roosevelt, e al premier britannico
Winston Churchill, durante la conferenza di Yalta del 1945.
Stalin amava la frutta esotica, a cominciare dalle banane. Aveva anche un debole per l'ananas.
Ne sra talmente ingordo da proporre a Mao Tse Tung di impiantare in Cina una fabbrica per 
l'inscatolamento del frutto sciroppato.
Il Grande Timoniere, a quanto si racconta, ne fu alquanto infastidito. Gagliardo bevitore di vodka,
il tiranno, specie negli anni del declino, si dedicò a gozzovigliare in compagnia dei suoi ospiti, nelle lunghe nottate al Cremlino. Firmava sentenze di morte piluccando profumati mandarini georgiani.
Ma i troppi brindisi, nelle veglie antelucane, contribuirono a stroncare anche la robusta fibbra
dell'Uomo d'Acciaio.








Bevitore ed ottima forchetta fu anche il rubicondo Nikita Krusciov, sorretto in ciò
dalla sua natura gioviale e conviviale.








Negli anni di Breznev, le cucine del Cremlino sfornavano i grigi menù della " dieta socialista " di un 
perfetto segretario generale. Leonid Breznev, imperatore sovietico dal 1964 all'82, amava la caccia e avrebbe voluto cibarsi esclusivamente di selvaggina. Il dittatore rosso si faceva vedere spesso in cucina.
Con esiti talvolta grotteschi. Quando, la sera, si trovava nella sua dacia, diceva che si mangiava meglio al Cremlino. Poi, l'indomani, a Palazzo, ammetteva che, però, alla dacia cucinavano più saporito.
Negli ultimi anni i gusti di Brevnev, ormai farmacologicamente dipendente, virarono verso le cotolette
e il purè di patate.







La " mensa " del Cremlino seguitò a proporre uguali menù nell'effimera stagione degli ultimi
gerontocretici, Jurj Andropov e Kostantin Cernenko.
Ovunque  e sempre trionfavano spiedini di montone, cavoli stufati, pirogi e pelmeni
siberiani, sorta di ravioloni variamente ripieni.







Con l'avvento dell'era Gorbaciov, la cucina del Cremlino conobbe poche variazioni. Gorby era pronto ad ingollare tutto, non solo metaforicamente. Una volta in Kirgistan gli toccò mangiare un orecchio di montone, mentre, il Giappone, gli furono fatte assaggiare libellule e rane. Lultimo presidente della Russia comunista
prediligeva le ricette semplici, come l'omelette e il kasha, l'insalata di orzo perlato alla russa.
Sua moglie Raissa invece amava il caffè bollito tre volte, fino a formare una leggera superficie cremosa.








Ammainata la bandiera rossa, al Cremlino è la volta di Boris Eltsin. Spariscono le colazioni gorbacioviane 
di kasha per lasciare spazio al whisky e gin con ghiaccio e limone servito al mattino insieme al caffè.
Ma questa è un'altra storia.

( fonte Libero)
( immagini dal web)















Autunno

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E viene il tempo degli alberi
che lasciano cadere foglie d’oro.
E viene il tempo
dei giorni che si accorciano.
Le notti sono lunghe
e ogni sera ha un nome.
sempre nuovo di fiabe. 
Nel vano della finestra
una stellina si ferma ad ascoltare.

(Poesia di Elisabeth Borchers)
( Immagine dal web )



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Vacanza in Valle d'Aosta / Le cascate del Rutor

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Durante la nostra vacanza abbiano avuto modo, dietro consiglio della
Signora Emanuela, proprietaria del B& B Quart de Lune, dove abbiamo soggiornato splendidamente,
di salire alle indimenticabili cascate del Rutor.







Un' escursione inizialmente molto facile che poi diventa un pochino più impegnativa ma
ne è valsa veramente la pena.

















Le cascate sono generate dal precipitare di un corso d'acqua lungo una brusca rottura di pendenza dell'alveo.
Nel caso del torrente Rutor si hanno molte rotture di pendenza, originate dal modellamento operato dai ghiacciai nella storia geologica, ma soprattutto tra le quote 1650 m. e 1770 m. e 1900 m. e 2150 m.
s.l.m. dove si formano le belle cascate battezzate,  circa 150 anni fa, dall'abbè Chanoux come
" Rutorine ".





























La storia delle cascate del Rutor comincia con quella del ghiacciaio sette o ottomila anni fa quando la parte del grande ghiacciaio Balteo che colmava la valle di La Thuile lentamente si ritirò abbandonando il versante.
Da allora l'acqua di fusione del ghiacciaio iniziò forzatamente a percorrere l'attuale corso del torrente 
Rutor, profondamente inciso tra le rocce. Non possiamo conoscere quale fosse il regime e il volume delle cascate in epoca preistorica ma l'imponenza e il volume delle cascate del Rutor deve comunque essere cambiato attraverso i secoli in relazione alla fusione del ghiaccio.























I documenti storici che attestano la presenza delle cascate sono molto pochi e le informazioni vanno estrapolate  da descrizioni dei luoghi redatte per altri scopi. Per esempio nel 1596 l'ingegnere Soldati, inviato
dal Duca di Savoia, al lago di Santa Margherita, parla del Lac des Glaciers, che all'epoca evidentemente occupava buona parte del Plan de la Liere ( 2145 m. ) e che aveva due emissari uno dei quali lungo l'attuale corso del torrente Rutor: tutte e tre le cascate del Rutor dovevano dunque essere presenti.




























Nel 1864 l'abate Chanoux riferisce che le acque provenienti dal lago Margherita s i raccolgono nel Lac des Glaciers e si scaricano nel bacino del Combasse e non del Rutor a causa della massa di ghiaccio che invadeva il bacino stesso. Si può dunque immaginare che il volume d'acqua della stessa cascata rutorina fosse molto ridotto, con la ritirata del ghiaccio il torrente prese l'aspetto che conosciamo oggi.





























Ed è in quell'anno che per la prima volta il lago Margherita ruppe per l'ultima volta la diga di ghiaccio formata dal ghiacciaio del Rutor e l'acqua del lago si precipitò a valle gonfiando le cascate in modo gigantesco.
Il 1864 è anche, più o meno, l'inizio di quel periodo di riscaldamento climatico globale che continua ai nostri giorni, grazie al quale, data la fusione del ghiaccio sempre più intensa il torrente è divenuto via via più ricco d'acqua e le sue cascate si sono fatte sempre più grandiose.


























Nel corso della storia la percezione dell'uomo nei confronti dell'ambiente è sicuramente cambiata, se in epoca antica la montagna era guardata esclusivamente in termini di risorsa ( per esempio quale serbatoio di legname ) o di pericolo ( in quanto luogo inospitale ) in epoca più recente, grazie ai viaggiatori la montagna ha acquistato un valore più scenografico.














L'attenzione per le bellezze naturali prende inizio , nelle classi  colte, sul finire del XVII secolo con l'Illuminismo, ai tempi di De Sassure, e diventa un valore fondamentale nel XIX , con il Romanticismo.
Gli anni intorno al 1864 segnano in effetti anche  " la nascita letteraria e turistica " delle cascate rutorine: in quegli anni si intensificarono gli studi scientifici ma soprattutto furono pubblicate le prime guide turistiche.













Dal 1864 il ghiacciaio, i laghi, il torrente e le cascate del Rutor non rappresentano più una minaccia, ma una preziosa risorsa turistica. Per avere una misura dell'importanza  che le  cascate hanno acquisito da questo punto di vista è sufficiente pensare ai nomi delle cascate.
Proprio poco dopo l'ultima rotta glaciale le cascate sono state battezzate come Prima, Seconda e Terza secondo un ordine che non rispecchia quello in cui il naturale corso del torrente le forma, ma secondo l'ordine in cui appaiono ai visitatori.








Un'escursione molto bella, come ho già detto un po' faticosa nella seconda parte, probabilmente anche a causa del fatto che noi quest'anno eravamo poco allenati. Durante la salita anche il simpatico incontro con la marmotta...Poi una brave sosta per un caffè a La Thiule ancora piena di coloratissime fiori e poi...pronti per un'altra avventura.










Su questa vacanza ho scritto anche:  Colazioni al Quart de Lune

                                                        Il Passo del Gran San Bernardo







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Il Fiordo dell'eternità, Kim Leine

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Un romanzone classico in tutti i sensi, di quasi 600 pagine, come non ne leggevo da tempo. In un
panorama editoriale dominato dai così detti " libroidi ", dai romanzi rosa
da quelli porno-soft, da storie al femminile cariche di passione e da thriller più o meno riusciti, "Il fiordo dell'eternità" di Kim Leine, pubblicato in Italia da Guanda, rappresenta un caso più unico che raro. Nella biografia dello scrittore si legge che dopo la formazione come infermiere, ha lavorato in Groenlandia per quindici anni. Nel 2004 è tornato in Danimarca e ha consacrato la sua professione di scrittore al racconto della Groenlandia. Il suo libro, un successo in patria, è stato acquistato da prestigiosi editori internazionali. Si tratta di un romanzo di formazione sullo sfondo della fine del '700 illuminista e delle grandi rivoluzioni dell’epoca







Come spiega lo scrittore nella postfazione, il romanzo e  i personaggi sono frutto di invenzione, anche se ''alcuni sono vissuti realmente''. ''Chi puo' sapere che cos'e' un uomo, e soprattutto un uomo che, per esempio, e' morto nel 1802? Mi sono permesso di immaginarlo'' dice Leine.
Con la ''maggior precisione possibile'' lo scrittore norvegese,ha cercato invece di descrivere i luoghi: Sukkertoppen tra il 1785 e il 1793, Copenaghen tra il 1782 e il 1787 e il grande incendio del 1795''. Per questo ''sono state utilizzate in modo meticoloso testimonianze oculari, modificate pero' a mia discrezione. La realta' fisica in cui i miei personaggi fittizi si muovono e' tuttavia autentica per quanto e' stato in mio potere ricrearla''. Quello che veramente conta, alla fine, sembrano davvero essere quegli speciali incontri umani che si fanno in Groenlandia
.









LA TRAMA -  Nel 1782 Morten Pedersen Falck lascia il suo villaggio norvegese per trasferirsi nella capitale Copenaghen e dedicarsi allo studio della teologia. Pur avviato alla carriera religiosa e alla cura delle anime, il giovane Morten preferisce frequentare i corsi di medicina, affascinato dalle autopsie che si eseguono nelle cantine della facoltà. Si innamora di una ragazza di famiglia borghese, ma nelle bettole di periferia scopre anche un’attrazione ben più ambigua e viscerale mentre, al tempo stesso, un anelito religioso lo spinge, una volta divenuto pastore, a richiedere di essere inviato nella colonia danese in Groenlandia. Gli spazi sconfinati e vergini dell’isola, promessa di libertà e futuro, si trasformano in una prigione claustrofobica e intollerabile. Partito per convertire gli inuit e redimere gli eretici del Fiordo dell’Eternità, a sua volta Morten Falck cade preda del loro incantesimo. Le certezze dogmatiche ma superficiali della teologia vengono spazzate via da una religiosità primordiale e pagana, promiscua e allucinata. Anche il momentaneo ritorno alla civiltà e alla famiglia, che culmina in un grandioso affresco dell’incendio che distrusse Copenaghen nel 1795, non può nulla contro l’attrazione per il vuoto immenso della Groenlandia. Sullo sfondo del Settecento illuminista e delle grandi rivoluzioni dell’epoca, Il Fiordo dell’Eternità è un romanzo di formazione à rebours, dove la crescita interiore e materiale dei personaggi si converte in un’irreparabile discesa agli inferi, verso gli istinti più bassi dell’uomo, la degradazione fisica e mentale, la follia: un racconto che smentisce il mito moderno della ragione, ma al tempo stesso celebra con grande potenza visionaria l’innocenza perduta dell’uomo...








Morten Falck, il tormentato protagonista del  romanzo è un uomo del suo tempo: ha introiettato la massima di Rousseau “l’uomo è nato libero ed è in catene”e vorrebbe ispirarsi ad essa in ogni circostanza della sua vita.Siamo nel secolo dell’illuminismo e da Parigi l’incendio della rivoluzione pare propagarsi in tutta Europa: Morten, nato nel 1756 in uno sperduto villaggio norvegese, ha visto morire di malattia i fratelli, dovrebbe obbedire al padre, diventare sacerdote, ma crede  nell’innocenza dello stato di natura e alla teologia preferisce la scienza, alle preghiere la dissezione dei cadaveri nei laboratori dell’Università. Con tali premesse, la sua potrebbe essere una storia edificante e banale, ove il lettore assiste alle peripezie dell’eroe idealista in lotta contro una società iniqua.

In realtà Il fiordo dell’eternità non è un romanzo storico o meglio lo è in senso più profondo: il cuore del libro è infatti la messa in discussione dei capisaldi del pensiero europeo, la cui crisi attuale (crisi che è prima che economica culturale)  Leini ha voluto rappresentare, nella forma del classico romanzo realista alla Balzac, partendo dalle sue radici filosofiche-letterarie illumistiche. Morten è si figlio del ‘700, ma la disamina spietata, cui viene sottoposto, lo rende profeta del disorientato abitante contemporaneo del Vecchio Continente: le sue esperienze prima nella Copenaghen fra il 1782 e il 1787 poi nella colonia danese in Groelandia a contatto con i selvaggi gli consentono di esplorare fin nel profondo la propensione naturale dell’animo umano alla degenerazione morale e dunque alla negazione dell’innocenza originaria.

Fin da quando studente fruga i recessi sordidi della città egli riconosce nel paesaggio degradato i sintomi della sua stessa malattia: abbandonando la normalità di una fidanzata borghese, sprofonda nel delirio dell’eros, irresistibilmente attratto da un ermafrodito incontrato in una locanda. La fuga fra i selvaggi nel ruolo di missionario non è che un’illusoria fuga dal se stesso sottoposto all’azione corruttrice della civiltà. Lo attendono invece allucinazioni, deliri e l’irresistibile forza del peccato: egli trasgredisce i comandamenti di un Dio in cui neppure crede e, infermo nella volontà e nel fisico, assiste da predicatore commediante  agli orrori di un universo, posto ai confini estremi dell’ecumene,  caratterizzato dall’incesto, dallo stupro e da una solitudine sconfinante nella follia. Se presente e futuro coincidono,  chissà se è mai esistito davvero il libero eden ipotizzato da Rousseau? Morten convalescente dopo un incidente viene portato a un villaggio sul cosiddetto “Fiordo dell’eternità” dove l’idillio richiama in vita persino i morti  Ma forse è un’allucinazione: l’utopia dei filosofi si disperde del resto al primo colpo di fucile dei soldati.


Romanzo di formazione, d'avventura, poetico e brutale, a tratti addirittura troppo forte e sconvolgente
ma sicuramente un grandissimo capolavoro






.


La Torta di pane e latte e la bellezza discreta della Val Vigezzo

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Tempo fa abbiamo trascorso una bellissima vacanza in Val Vigezzo, le cime di questa valle ci hanno offerto sensazioni uniche. Dal fondovalle, terra di castagni, salgono e si estendono fitti boschi di faggi, abeti, pini, larici, lasciando intravedere qua e là pascoli, alpeggi, fresche cascatelle, pietraie e cascine che raccontano la vita dura del montanaro. Dalla sommità delle vette si spazia su paesaggi affascinanti con orizzonti vastissimi.
" Nell'incanto del tramonto o alle prime luci dell'alba si può spiare e cogliere il messaggio del silenzio,
dell'Infinito e ritrovare pienamente se stessi ".








La Valle è chiamata anche Valle dei Pittori per la sua illustre tradizione artistica e potrebbe anche essere definita " La Valle del tempo dipinto ",  infatti circa 113 meridiane fanno bella mostra di sè su edifici pubblici, parrocchiali, ville e dimore più modeste. 








Noi alloggiavamo in un grazioso B&B a Santa Maria Maggiore, il centro principale
della valle da cui partivamo ogni mattina per belle escursioni:

Il Monte Rosa








Le cascate del Toce








Il lago Moresco









Craveggia, il paese dei camini








l'alpe Campra








Nel tardo pomeriggio, quando rientravamo, bevevamo il tè nel bar del paese e poi visitavamo
ogni giorno uno dei tanti musei: il museo dell'Acqua di Colonia ( perchè vero che l'acqua è di Colonia ma è stata creata da un abitante del posto emigrato in Germania) il museo delle Belle Arti
e il museo dello Spazzacamino, infatti questo è anche conosciuto come il paese degli Spazzacamini
di cui ogni anno si tiene il raduno annuale...








Insomma la Val Vigezzo è davvero una terra dalle straordinarie attrattive che non solo rappresenta 
un capolavoro della natura per i suoi paesaggi e i suoi colori che hanno ispirato tanti grandi artisti ma 
quello che ancora oggi stupisce è la grande ingegnosità dei suoi abitanti.







Capolavori di alta gioielleria, finissime essenze profumate, tessuti dal disegno elegante,
lavorazioni in pietra e in legno realizzate da artisti dello scalpello sono nati dalle abili mani vigezzine.








In Val Vigezzo si possono ancora trovare antichi forni comunitari, mulini e frantoi.
La cucina tradizionale è ricca di sapori: polenta, formaggi, prosciutti aromatizzati e affumicati,
tutto da accompagnare con il famoso pane nero di Coimo.
E per chiudere la famosa " Torta di pane a latte " il cui profumo invadeva il B&B e le strade del paese
 fin dal mattino, profumo che ancora oggi, ogni volta che la preparo, mi riporta alla mente quella bella vacanza e manda in visibilio Cassandra che ne è una grande estimatrice.









Ingredienti


5 panini raffermi
1 litro di latte
zucchero
marsala
cannella
scorzette di arancia e limone
uvetta secca
1 uovo







Spezzettare il pane a lasciarlo a bagno nel latte fino a quando non lo avrà completamente assorbito.








Aggiungere tutti gli altri ingredienti e lasciar macerare per una mezz'ora abbondante.







Trascorso questo tempo mescolate bene il tutto






Mettete tutto in una tortiera foderata di carta per forno ed infornate in formo preriscaldato a 180°
per 45 minuti circa ( sarà pronta quando infilando il coltello al centro della torta
ne uscirà pulito senza fare " strisce " )







Come vedete è un dolce semplicissimo realizzato con pochi ingredienti e ha il buon
sapore delle cose di una volta, quando niente andava sprecato.
In Val Vigezzo questo dolce viene anche chiamato il " dolce dai sette ingredienti " proprio perchè, oltre al pane e al latte gli ingredienti sono 7.








Ho preso l'abitudine della Valle di servire questo dolce con la panna montata spolverata
con la cannella oppure con la panna e i mirtilli







Ricordo che la mia mamma ne faceva una versione un po' più " ricca " in cui aggiungeva qualche amaretto sbriciolato e del cacao amaro; ma, devo dire, che preferisco la versione originale.
Ogni volta che la preparo io e mio marito ci guardiamo e diciamo " C'è profumo di Santa maria Maggiore! "


















Matera, Capitale Europea della Cultura

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Era la favorita ed ha vinto. E così, sarà Matera la Capitale Europea della Cultura 2019.
Con sette voti su tredici ha battuto le altre 5 finaliste: Siena, Lecce, Cagliari,, Perugia e Ravenna.
Probabilmente è sbagliato dire " battuto " perchè, come ha commentato il Presidente della Giuria
Internazionale Steve Geen, " c'è stato un vincitore ma nessun perdente "








" La candidatura che ha come parola chiave Open future , un futuro aperto per tutti, nasce dalla storia antica di questa città, fatta di rovesciamenti, capovolgimenti e di un destino ribaltato" ( Marta Ragozzino, sindaco della città )








Che Matera sia una città sottosopra se ne erano già accorti gli antichi che nel visitare queste
rocce abitate sin dal Neolitico guardavano con occhi increduli i Sassi, un ammasso di case
grotte, cisterne e stalle una sopra l'altra, al contempo pavimento per chi è sopra e tetto per chi è sotto, 
con i giardini pensili sui tetti delle dimore dove spesso venivano seppelliti i defunti.
I vivi sotto e i morti sopra.








Tutto è capovolto, come l'effetto che facevano i Sassi all'imbrunire, quando gli abitanti 
accendevano i lumi fuori dalle case. e a chi guardava lo spettacolo dall'alto sembrava di vedere
un cielo stellato sotto i piedi.








Ma qui, dove tutto è capovolto,l'impresa più grande è stata quella di ribaltare l'immagine e 
il destino della città. Questo paesaggio aspro, dominato dai Sassi, due mezzi imbuti con al centro uno sperone roccioso, la Civita, che a Primo Levi ricordava l'Inferno di Dante, per lungo
tempo è stato un simbolo di arretratezza, miseria e di una cultura primordiale.








E' Levi, nel dopoguerra, con Cristo si è fermato ad Eboli, il romanzo sui suoi anni di confino
in Basilicata durante il fascismo, a raccontare all'Italia le condizioni socio - culturali di 
questa gente, " Una diversa civiltà, fuori dalla Storia e e della Ragione progressiva, 
antichissima sapienza e paziente dolore."








Anni dopo questa stessa civiltà è oggetto dello studio sul campo del sociologo 
americano Edward Banfield che conia il concetto di " familismo amorale " per indicare le
cause - ragioni culturali di questa miseria. Sono gli anni in cui Matera è conosciuta in Italia
come "vergogna nazionale ". per le precarie  condizioni igienico - sanitarie in cui gli abitanti
vivevano nei Sassi.








Nell'Italia del boom economico il governo De Gasperi risolve la questione svuotando i 
Sassi e trasferendo la popolazione in nuovi quartieri. Ma il legame ancestrale con i Sassi viene
pian piano recuperato e quelle case- stalle che una volta erano il simbolo della vergogna diventano il simbolo del riscatto: 50 anni poto la " cacciata " i Sassi vengono dichiarati " patrimonio dell'umanità "
dall'Unesco e diventano un'attrazione per i turisti di tutto il mondo.








Matera ha vinto nonostante un deficit infrastrutturale rispetto ad altre candidature:
non c'è stazione ferroviaria, non ci arriva l'autostrada, l'aeroporto più vicino è Bari.
Ma il richiamo e il fascino di quella che è stata la Gerusalemme di molti registi,
da Pier Paola Pasolini a Mel Cibson, è stato irresistibile.








Questa vittoria aiuterà Matera ad uscire fuori da una marginalità culturale più che
geografica, soprattutto in Italia, visto che la città e la sua storia attirano più l'interesse
dei turisti stranieri che dei compatrioti.








La nomina di Capitale Europea della Cultura, e da lucana al 50% quale sono ne sono entusiasta,
forse servirà a far conoscere la città più in Italia che fuori.
Anche in questo Matera è sottosopra.







( Fotografie dal web, fonte Libero )





Fatterellando / Giuseppe Verdi, Il Nabucco

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Giuseppe Verdi ( Roncole di Busseto 1813 - Milano 1901 ) è il grande protagonista dell'Opera
italiana dell'Ottocento per almeno due motivi fondamentali: il gran numero di anni in cui " tenne " le scene
del Teatro dell'Opera dal 1842 ( Nabucco ) al 1893 ( Falstaff ); e, fatto più sostanziale, la sua inesauribile
capacità di rinnovarsi, a contatto con tutte le tensioni culturali del suo secolo, riportando alla sua personalissima cifra ogni apertura verso altre esperienze. Come dire che una puntuale conoscenza della 
produzione verdiana è un'impresa complessa e di grande mole, ed è , soprattutto, un'impresa conoscitiva degli aspetti vari e contraddittori di uno dei momenti certamente più avvincenti  della storia della cultura europea.








Fu di umili origini e rimase per molto tempo ai margini della vita musicale, formandosi con umili maestri, a contatto con la musica di chiesa e la banda locale. Milano rimase un miraggio per molti anni: fu anche respinto agli esami  di ammissione al Conservatorio perchè ormai fuori età e perchè non sembrò opportuno fare un'eccezione per doti di pianista tutt'altro che eccezionali. A Milano rimase per prendere lezioni private dal Lavigna, maestro concertatore al cembalo, alla Scala, e così trovò modo di entrare poco alla volta nel Teatro, facendosi apprezzare dall'impresario Merelli.








Fino a questo punto della sua vita ( 1838 ) suo protettore era stato  il commerciante melomane di Busseto,
Barezzi, di cui aveva sposato la figlia Margherita nel 1836. Ora l'appoggio del Merelli gli aprì le porte della Scala dove riuscì a far rappresentare la sua prima opera, Oberto, conte di San Bonifacio ( 1839 ).
L'opera ebbe successo ma nessuno avrebbe sospettato in quel decoroso ricalco di opere donizettiane il
futuro genio.Una successiva Opera Buffa, Un giorno di regno ( 1840 ) ebbe un fiasco così clamoroso da porre nel giovane Verdi il dubbio se abbandonare la via del teatro musicale.








L'insuccesso dell'opera buffa venne a coincidere con una vasta tragedia familiare, la morte dei due figlioletti
e della moglie. Solo l'incoraggiamento del Merelli lo indusse a ritentare la sorte con un 'opera alla Scala: Nabucodonosor, poi universalmente conosciuto come Nabucco.









Verdi stesso ebbe a raccontare che accettato di malavoglia il libretto del Solera giunto a casa fu attratto
dai versi parafrasanti un celebre passo biblico.
Sembra perciò che il celebre coro " Va pensiero sull'ali dorate " sia stato il primo pezzo musicato del Nabucco.









Il successo, grande  e definitivo si profilò fin dalle prove.
I cantanti erano entusiasti dello spartito. Da quella sera del 9 marzo 1842 alla Scala di Milano
il nome di Verdi divenne famoso e la sua musica si inserì nella poetica patriottica del tempo.








Nel caso del Nabucco , Verdi si trova ad affrontare un genere, quello dell'opera corale, già praticato da Rossini nel Mosè e, per alcuni aspetti da Bellini nella Norma; ma qui si assiste al pieno riscatto di ogni soggezione psicologica ( e, quindi, stilistica : il miracola da cui nasce il nuovo idolo del teatro d'opera consiste fondamentalmente in un atto di volontà con cui Verdi impose al pubblico della Scala il proprio personale 
gusto, formatosi sull'organo e i cori di chiesa, con le bande di paese; un gusto per effetti decisi, per ritmi fortemente scanditi, per melodie schiette e facilmente intonabili.









Se si aggiunge che nel Nabucco, la vicenda amorosa è in secondo piano e tutta l'attenzione
è rivolta al tormento di Nabucodonosor e alla vicenda collettiva del popolo ebraico, un nuovo senso morale, in sintonia con quello stile un poco sommario e rude, imponeva quel giovane all'attenzione
e all'entusiasmo del pubblico.








Per una felice coincidenza, poi, la dimostrazione di questa sua natura schietta e un poco rocciosa
veniva a coincidere con la sensibilità diffusa nel pubblico per la lotta contro l'oppressione o addirittura per 
il moto rivoluzionario.








La platea era affollata ormai dalla piccola borghesia mazziniana che, sull'immissione in arte di spiriti liberali, si trovava una volta tanto d'accordo con l'alta borghesia o la nobiltà liberale dei palchi.
Da qui la questione: l'opera di Verdi fu Risorgimentale?
Molti non hanno dubbi nel rispondere di sì, trasferendo alla qualità artistica delle opere di Verdi l'accoglienza che esse ebbero divenendo - come divennero - occasione di entusiasmi patriottici,
proprio come il loro autore diveniva con il proprio nome ( Vittorio Emanuele Re D'Italia )
involontario assertore della monarchia costituzionale e unitaria.









Ma in verità un diretto impegno politico di Verdi nelle vicende politiche si rivelerà solo in una fase più moderata del Risorgimento, negli anni 1859 - 60.









Occorre andare cauti, insomma, in questa identificazione Verdi - Risorgimento quarantottesco,
perchè si rischia di mettere in luce l'uso che i patrioti fecero della sua musica e non molto di più.








Qualcun altro risponde al quesito negativamente: Verdi avrebbe semplicemente approfittato del 
clima risorgimentale per rinnovare il suo linguaggio. Ma l'intenzione riduttiva di questa tesi ( che 
esclude ci possa essere un tipo di musicista con rapporto più diretto con la realtà politica, più - per intenderci - di un Rossini ) è per lo meno strana: come può rispondere un musicista a sollecitazioni storiche se non 
in termini di linguaggio musicale ?







La questione è, insomma, mal posta, se non ci si avvede che il gesto imperioso del 2 rude " Verdi
non avrebbe potuto avere udienza nei decenni precedenti; e Verdi, forse, non avrebbe potuto affermare vigorosamente la sua personalità se non in quel modo.









E quindi non c'è che da constatare che un teatro di così forti tinte e di totale semplificazione del linguaggio
musicale venne ad incontrarsi positivamente con un momento storico di rinnovata partecipazione
popolare ai fatti della storia.









Un coro come " Va pensiero ", lontano dalle complessità colte di Rossini, stava lì a dimostrare una nuova apertura verso il canto che il popolo avrebbe potuto effettivamente intonare
accompagnato anche dal più umile dei complessi bandistici








Morì a Milano il27 gennaio 1901 all'Albergo Milan
Chiese funerali modesti ma non fu possibile vietare a tutto un popolo che lo aveva acclamato
e venerato di rendergli gli ultimi onori. Dopo un primo, modesto funerale ne seguì un secondo
del quale conserviamo iconografie impressionanti.
Quel popolo forse comprendeva che con Verdi era finita una grande età del teatro musicale,
forse irripetibile.








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La curiosità di Antonella


Verdi vide sparire negli ultimi anni della sua vita tutte le persone care, prima fra tutte la seconda moglie
Giuseppina Strepponi e i suoi numerosi amici. Compì allora un'opera anche come uomo:
la casa per musicisti. Costruita su progetto di Camillo Boito fu pensata dal donatore non come un
ricovero , ma come un luogo di serenità per i colleghi che non potevano trovare sostentamento per la vecchiaia. Questa cura di Verdi affinchè nulla fosse confuso o imitato da opere benefiche similari, le 
quali troppe volte ricoverano, ma umiliano, fu il più degno coronamento della sua vita, un'opera sociale ed un atto gentile pari ai suoi maggiori capolavori.



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Adesso vi invito a passare da Audrey a


Per leggere la bella trama del Nabucco







( Immagini dal web)
( Fonti:  Enciclopedia della Musica, ed.Ricordi
Enciclopedia UTET
La Grande Musica, Mondadori )










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