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Oriana Fallaci / Quel Giorno sulla Luna

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Dopo aver passato quattro anni insieme agli astronauti, in particolare quelli impegnati nei progetti Gemini e Apollo 11, la Fallaci ha acquisito una conoscenza davvero profonda delle ricerche che porteranno l’uomo ad approdare sulla Luna. Come semplice giornalista, inviata dell’«Europeo» prima, come amica e confidente poi, ha assorbito in pieno il clima di sfida, non solo tecnologica, tra Stati Uniti e Urss.







Ha osservato e compreso i mezzi tecnici e finanziari necessari alla partenza, al volo, all’attraversamento dell’orbita terrestre, all’atterraggio sulla Luna. Ha assistito alla selezione degli astronauti da lanciare nello spazio, rintracciandone le motivazioni principali. Ha poi intervistato gli stessi astronauti, gli scienziati impegnati nella missione, gli economisti che si occupavano di reperire i fondi indispensabili all’operazione, gli scrittori di fantascienza che intorno al mito della Luna avevano basato un genere letterario.
Ne è nato subito un libro pubblicato nel 1965 da Rizzoli, Se il Sole muore, che sulla base di queste conoscenze Oriana ha impreziosito di un fitto tessuto romanzesco. In seguito, tornando ai grandi reportage pubblicati per «L’Europeo» e arricchendo la cronologia di tutte le conseguenze che l’allunaggio ha innescato, la Fallaci ha ricostruito quegli anni di cambiamenti così rivoluzionari e repentini, sviscerando ulteriormente i dilemmi morali e psicologici già affrontati in Se il Sole muore.







Ne è nato così Quel giorno sulla Luna, resoconto minuzioso delle missioni nello spazio e ritratto disincantato degli astronauti, personaggi diventati ormai mitici nell’immaginario collettivo ma che per la Fallaci nulla rende speciali. Condividendone le angosce, le speranze e le delusioni, i momenti di tristezza e debolezza, si è infatti convinta che non si tratti di eroi o persone particolarmente sopra la norma («E chi sono loro? Diciamolo subito: borghesi di provincia. Non ti aspettare da essi un’intelligenza pari alla responsabilità che hanno, o una visione nuova della vita»), ma di uomini normalissimi che il caso ha portato a vivere in prima linea la più grande avventura dell’uomo.






Per conoscerlo un po'


Un uomo, messo accanto a quel razzo, sembra meno di una formica. È un razzo così ciclopico che la sua altezza equivale a quella di un grattacielo con trentasei piani, la sua ampiezza è quella di una stanza di sette metri per sette. Pieno di carburante, pesa tremila tonnellate. Per alzarsi, ha bisogno di una spinta pari a quattromila tonnellate. Se ne raggiungi con un ascensore la cima, io l’ho fatto, ti coglie il terrore. E di ciò non ti rendi conto alla televisione o quando lo guardi dal recinto della stampa che è il più vicino alla pista di lancio: un chilometro e mezzo.







 La torre che lo sostiene è altrettanto grossa, tutto intorno la pianura è deserta: ti mancano i termini di paragone, e solo il boato che segue la fiammata da apocalisse ti riconduce alla realtà. Poi lo spostamento d’aria che ti investe come un mastodontico schiaffo. Ma è una realtà irreale: mentre lui sale dentro l’azzurro sputando una cometa di fuoco arancione, tuonando l’esplodere di mille bombe, non credi ai tuoi occhi e ti senti quasi offeso nelle tue dimensioni umane. Offeso, ricordi che in fondo è una bomba, nacque da una bomba che si chiamava V2 e non serviva a volare nel cosmo, serviva a distruggere le città, a massacrare gli inermi. Pensaci al momento in cui partirà per la Luna, il 16 luglio. La data è il 16 luglio. L’ora le nove e trentadue del mattino. Il luogo, Cape Kennedy in Florida. 






Avrebbe potuto essere Baikonur nell’Unione Sovietica: la corsa dei due paesi andava di pari passo e anzi sembrava che a vincerla fossero i russi. Poi i russi rimasero indietro, non s’è mai saputo perché, e a meno di una sorpresa in extremis sembra proprio che a vincerla siano gli americani. Hanno tenuto fede all’impegno. Entro il 1969, dicevano, sbarcheremo sulla Luna. Ed entro il 1969 ci sbarcano: 
per darci il Grande Spettacolo.
Naturalmente gli uomini non cambieranno per questo: allo stesso modo in cui non cambiarono il giorno che la prima zattera si staccò da una spiaggia e navigò il mare e approdò a un’altra spiaggia. Coloro che ancora vivono come bestie dimenticate da Dio, e sono centinaia di milioni, non sanno neppure che esiste il razzo Saturno, che si va sulla Luna. Se lo sapessero, direbbero ciò che dicono le due spazzine della vignetta pubblicata anni fa da un giornale satirico di Mosca: «Ora ci tocca spazzare anche lei». Quanto a coloro che invece lo sanno e ne comprendono il significato, non illudiamoci.








 Gli uomini continueranno come prima a soffrire, a uccidersi nelle guerre, a offendersi nelle ingiustizie, e con la Luna allargheranno i confini della loro perfidia e del loro dolore. Ma allargheranno anche quelli della loro intelligenza, della loro curiosità, del loro coraggio e, se le insidie non si materializzano, può anche darsi che il Grande Spettacolo diventi una buona avventura. Certo le insidie sono cupe. La prima è che un microscopico germe lunare invada la biosfera e contagi il genere umano, gli animali, le piante, le acque: senza che la natura e la scienza sappiano difendersi. La morte fisica insomma. La seconda è che la tecnologia prenda il sopravvento e addormenti i nostri cuori, i nostri cervelli, ci trasformi in robot incapaci di fantasia, sentimenti, rivolta. La morte spirituale insomma. La terza è che tutto si risolva in un avvenimento giornalistico, uno show televisivo dietro cui non c’è nulla fuorché qualche dato scientifico per far guadagnare chi guadagna già troppo. La morte morale insomma. Per destino o per scelta, ci siamo imbarcati in un’impresa che rischia di annientarci o peggiorarci o deluderci. Ma non possiamo più tirarci indietro. E qui sta il lato eroico dell’intera faccenda, il suo blasfemo splendore, la conseguente retorica che l’ha sempre falsata."





( Immagini dal web )










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