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Il mito di Eco e Narciso

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La leggenda di Eco e Narciso

Nell'antica Grecia, in un giorno lontanissimo, Cefiso, il dio delle acque, rapì la ninfa Liriope. 
Si amarono teneramente e dalla loro unione nacque un figlio che fu chiamato Narciso. 
Gli anni passarono e Narciso divenne un ragazzo meraviglioso.
 Liriope volle salvaguardare la bellezza del giovinetto; si recò perciò dall'astrologo Tiresia che, 
dopo aver consultato l'oracolo, le disse:
- Narciso vivrà molto a lungo e la sua bellezza non si offuscherà. 
Ma il giovinetto non dovrà più vedere il suo volto.






La profezia di Tiresia si avverò: Narciso restò per sempre adolescente,
 mantenendo intatta la sua bellezza che svegliava i più teneri sentimenti nelle ninfe che l'avvicinavano.
Ma lo splendido ragazzo sfuggiva il mondo e l'amore e 
preferiva trascorrere il tempo passeggiando da solo nelle foreste sul suo cavallo 
oppure andando a caccia di animali selvatici.
Un giorno, mentre cacciava, sentì rimbalzare tra le gole della montagna una voce che
 si esprimeva in canti e risate.
 Era Eco, la più incantevole e spensierata ninfa della montagna che, al solo vederlo,
s'innamorò perdutamente di lui. 






Ma Narciso era tanto fiero e superbo della propria bellezza, 
che gli pareva cosa di troppo poco conto occuparsi di una semplice ninfa. 
Non così era per Eco che da quel giorno seguì il giovinetto ovunque andasse,
 accontentandosi di guardarlo da lontano. 
L'amore e il dolore la consumarono: a poco a poco il sangue le si sciolse nelle vene,
 il viso le divenne bianco come neve e, in breve, il corpo della splendida fanciulla
 divenne trasparente al punto che non proiettava più ombra sul suolo.
Affranta dal dolore si rinchiuse in una caverna profonda ai piedi della montagna,
dove Narciso era solito andare a cacciare. 
E lì con la sua bella voce armoniosa continuò a invocare per giorni e notti il suo amato.
Inutilmente perché Narciso, che pur udiva l'angoscioso richiamo, non venne mai.
Della ninfa rimasero solo le ossa e la voce.
 Le ossa presero la forma stessa della cava roccia ove il suo corpo era rannicchiato
 e la voce visse eterna nella montagna solitaria.







Da allora essa risponde accorata ai viandanti che chiamano.
Ma è fioca e lontana e ripete perciò solo l'ultima sillaba delle loro parole:
 ha perduto la sua forza invocando Narciso, il crudele cacciatore che non volle ascoltarla.
Narciso non ne fu affatto addolorato e continuò la sua vita appartata.
Fu allora che intervennero gli dei per punire tanta ingratitudine.
Un giorno, mentre il superbo giovinetto si bagnava in un fiume, 
vide per la prima volta riflessa nell'acqua limpida l'immagine del suo viso. 
Se ne innamorò perdutamente e per questa ragione tornava di continuo sulle rive del fiume 
ad ammirare quella fredda figura.
 Ma ogni volta che tendeva la mano nel tentativo di afferrarla,
 la superficie dell'acqua s'increspava, ondeggiava e l'immagine spariva.
Una mattina, per vederla meglio, si sporse di più e di più finché perse l'equilibrio cadendo nelle acque,
che si rinchiusero per sempre sopra di lui.
 Il suo corpo fu trasformato in un fiore di colore giallo dall'intenso profumo,
che prese il nome di Narciso.






"...Non ci separa l’immenso mare, nè un lungo cammino, nè i monti, nè città chiuse da mura: solo poca acqua ci tiene disgiunti, e tanto piccola è la distanza che ci potremmo toccare. Ardo d’amore e gli tendo le braccia, gli sorrido e lui mi sorride, gli parlo e mi parla, ma non sento quello che dice..."


( fotografie: Caravaggio. Narciso alla fonte, dal web )






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